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I Prefetti
[30] Il prefetto Andrea Tincani, studioso e dotto, lasciava Teramo
verso la fine di giugno 1943, quando appunto s'iniziava, con i
nuovi dolorosi eventi, questo diario. Egli partiva, ma lasciava,
con la squisita sua educazione, con la correttezza dei suoi atti,
con l'appassionato fervore, con il quale aveva adempiuto la sua
alta missione, segni indistruttibili e luminosi. All'adempimento
rigido e scrupoloso del dovere, aveva sempre unito un senso
superiore di bontà, di umanità, di giustizia. Pareva che
vivesse, in una ricca generosità, per I' altrui bene, per la
prosperità della provincia affidata al suo saggio illuminato
governo. Dinanzi alle inevitabili difficoltà e ai contrasti,
pareva che divenisse sempre più decisamente forte. Nessuna
debolezza mostrava dinanzi a quei fenomeni, tendenti a diminuirne
l'autorità, che erano i prodotti non felici del tempo.
Teramo, proprio sotto il suo governo, poteva iniziare a
sviluppare quel suo ardito programma di rinnovamento, molto
notevole, nelle strade, nelle piazze, negli edifici, nelle
Chiese, nei costumi.
Erano state già compiute alla sua partenza opere, alle quali
legava durevolmente il suo nome.
Ne prendeva il posto il prefetto Elmo Bracali, di cui si e già
parlato, ma non per molto tempo. Ed in vero verso la fine di
ottobre, ossia a pochi mesi dalla nomina, e dopo un periodo di
ansie e di pericoli, giungeva improvviso e inaspettato il suo
collocamento a riposo.
Al suo allontanamento non dovevano essere stati estranei i
Tedeschi, che dovevano attribuire anche a lui la responsabilità,
o la tolleranza, nella costituzione a Teramo delle bande dei
ribelli. Avevano usato infatti, nel giungere, nei suoi riguardi,
modi duri e villani.
Il provvedimento determinato, senza dubbio, da ragioni politiche,
molto rammaricava. Dotato di squisita educazione, di
svegliatissima intelligenza, di vasta cultura generale e
professionale, allo stesso modo del prefetto Tincani, anche lui
aveva fatto del suo ufficio un vero apostolato. Instancabile
nella sua operosità, alla quale spesso sacrificava serenamente
vitto, sonno, riposo. Prima il dovere, pareva che fosse il suo
motto, poi i diritti.
[31] Confortava, poichè si pensava che, una volta fuori della guerra,
sarebbe stato ripreso il programma di rinnovamento, del quale si
era reso premurosamente conto.
Sostituiva il Bracali, in mezzo ai dolorosi eventi, il prefetto
di nuova nomina colonnello Vincenzo Ippoliti. Relativamente
giovane, robusto, molto intelligente, tanto da rendersi ben
conto, in breve tempo, del non facile nuovo incarico.
Di natura impulsiva, dinanzi alle contrarietà, era talvolta
indotto a compiere atti, che forse non trovavano corrispondenza
nella sua indole, nel fondo del suo animo non cattivo. Talvolta
offeso nei suoi principi e nella sua sensibilità, pareva che
volesse fucilare tutti, ma non fucilava nessuno. Ordinava,
inoltre, arresti con la stessa facilità, con cui dava poi agli
arrestati la loro libertà.
Faceva anche, nei comuni ritenuti ribelli, spedizioni armate,
magari con molto chiasso, ma con limitatissimi danni, che poi
largamente risarciva. Amava molto il popolo, con il quale
volentieri parlava, sostenendone i bisogni e le ragioni.
Non tollerava i Tedeschi, e con essi spesso litigava, e ne
biasimava la condotta di soprusi e di violenza.
Di spirito fortemente nazionalista ed imperialista, era molto
sensibile alla grandezza ed all'onore d'Italia.
Un giorno, dopo una comparsa all'Ente comunale d'assistenza, che
frequentemente visitava e ne ammirava, con animo commosso, il
benefico funzionamento, partiva da Teramo, senza farvi più
ritorno.
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