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Scintille in fuoco spento
[32] Mentre si svolgevano tali avvenimenti, il prof. Mario Morricone,
uomo di onesto sentire e di lettere, sollecitato da Roma,
determinava di riattivare, secondo il nuovo concetto, la
Federazione dei Fasci di Combattimento. Era per lui, anima
semplice e buona, una quistione, forse, di coscienza e d' onore
rispondere all'invito, quando, nel generale smarrimento, tutti
fuggivano. Le autorità, però, in un momento tanto confuso, non
vedevano di buon occhio tale rinascita, ma con i Tedeschi in
casa, per ragioni di prudenza, non ne parlavano.
Molte adesioni erano determinate, evidentemente, da sincero
generoso impulso; ma altre, più che da ragioni ideologiche, o
convinzioni politiche, da calcoli di pratica opportunità. Le
insegne del littorio, che si intendevano rialzare, sia pure con
molto rischio personale, potevano, ad ogni modo, concorrere a
placare, come in verità placavano, e bisogna tenerne conto nella
valutazione, la rabbia tedesca, sempre pronta a compiere,
specialmente in quel primo momento, atti di sanguinosa violenza.
Poichè a Roma pareva che non si mantenessero gli impegni,
consacrati nel nuovo patto, che dovevano condurre verso più
libere democratiche istituzioni, non tardava a prodursi, tra gli
inscritti, molto malcontento, manifestato pure nelle libere
discussioni. Di conseguenza, lo stesso Morricone, offeso nella
sua sensibilità e nella sua buona fede, indiceva una assemblea
straordinaria, senza chiedere al Prefetto, divenuto, nel
frattempo, capo anche politico della provincia, alcuna
autorizzazione. Pronunciava, contro il nuovo inganno, una
coraggiosa aspra requisitoria, approvata unanimamente dai
presenti.
[33] Da quel momento la Federazione repubblicana di Teramo si doveva
ritenere virtualmente sciolta. Il tentativo del prefetto Ippoliti
di tenerla, per ragioni soprattutto politiche, ancora in vita,
con. la nomina di altro commissario, nella persona di Ansaldo
Anselmi, credo che non riuscisse. Vi potevano essere ancora i
quadri, costituiti dai più fedeli, ma pochi i gregari.
Dagli stessi fascisti non si riteneva, generalmente, di fomentare
nuove discordie e nuovi odi, quando più grandi divenivano le
sventure della patria. Anzi in qualcuno non era mancata l'idea di
giungere ad un accordo con gli stessi partigiani, per concretare,
con spirito italiano, un'azione comune contro tutti gli
stranieri, che sconquassavano, bagnavano di sangue le nostre
belle contrade.
Anche l' esperimento di ricostituire la Milizia non riusciva
pienamente. Nella lusinga di sottrarsi ad altri più pericolosi
obblighi, ed attratti dalle promesse di buone retribuzioni, vi
potevano accorrere, sul principio, molti giovani. Ma su di essi i
comandi, sia per l'età, sia per l'affrettata preparazione, non
potevano fare sicuro affidamento. Non sostenuti, inoltre, dalla
fiamma di un ideale, nè da una forte fede nella loro missione,
facilmente si stancavano, si sbandavano, disertavano. Non pochi,
qualche volta anche con le armi, raggiungevano in montagna i
partigiani. Ma altri, specialmente gli anziani, restavano fedeli
all'idea e al giuramento.
Alcuni, anche giovani e pieni di promesse, ebbero a pagare con la
vita la colpa d'aver indossata, fuori tempo, la divisa fregiata
dei segni del littorio. Essi, in verità, non avevano mai fatto
alcuna azione di forza contro i fratelli, che vivevano sulla
montagna, ed anche nelle vicinanze della città, con altri
ideali.
A mano a mano però che gli Alleati si avvicinavano i diversi
tipi di battaglioni, dai nomi sonori, si disfacevano,
scomparivano. Negli ultimi giorni di quei battaglioni non erano
rimasti che i quadri, abbandonati a se stessi, nelle loro
melanconiche riflessioni.
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