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I Tedeschi
[34] Si credeva generalmente che i Tedeschi fossero moderati nelle
loro esigenze. Si raccontavano episodi sulla loro vita che
accreditavano quella leggenda, che li elevava ai severi costumi
degli Spartani o Romani dei migliori tempi. Invero, chi era stato
in Germania aveva notato in essi molta disciplina, un senso
superiore d'ordine, un severo controllo di sé e dei propri atti,
un rispetto fanatico alle loro leggi. Ne riportava l'impressione
di un popolo dalle doti veramente elevate, meritevole delle
migliori fortune.
Quelli capitati a Teramo, quali ufficiali addetti ai comandi,
producevano, sulle loro qualità, una certa delusione. Di natura
doppia erano evidentemente. Non ne volevano proprio sapere di
quei sacrifici imposti dalla guerra, ai quali filosoficamente si
adattava l'ufficiale italiano. Davano, con le loro non moderate
esigenze, rendendosi così maggiormente invisi, non poco fastidio
agli uffici e alla popolazione.
Nella ricerca delle case, occupavano, tra le migliori, non
soltanto quelle disponibili per sfollamento, ma anche quelle
altre, i cui proprietari erano presenti. Imponevano ad essi senza
eccezioni e senza discussioni, creando situazioni penosamente
difficili, lo sgombero in poche ore. Una volta dentro vi
apportavano modifiche, non esclusa la sostituzione con mobili
prelevati altrove, da rendere non facile la ricomposizione della
casa, alla loro partenza. Per i mobili che rimanevano, s'intende.
Normalmente, partendo, portavano con se ogni cosa, dalla sedia al
pianoforte, se vi si trovava. Del tutto inutili gli esperimenti
di accurati interramenti e di bene mascherate murature. Tutto
scoprivano, comunque nascosto, e tutto predavano, senza riguardi
per nessuno.
Inutili le proteste. Il comune, che ne era esso stesso vittima,
con il suo intervento, anche energico, poteva attenuare, ma non
eliminare i soprusi compiuti con evidente spirito di
rappresaglia.
[35] S'illudeva non poco colui che poteva ancora credere che, con la
proclamazione della repubblica sociale fascista, i Tedeschi ci
considerassero ancora amici. Dopo l'armistizio, da essi
qualificato perfido tradimento, e ce lo facevano capire in tutti
i modi, non si poteva sperare un migliore trattamento.
Di paesi nordici, soffrivano molto il freddo. Per l'invernata
requisivano tutto il carbone, ovunque si trovasse. Così, mentre
nei locali da essi occupati si soffocava dal caldo, i nostri
uffici, le nostre scuole, le nostre case rimanevano senza
riscaldamento.
Nè erano meno esigenti per i bisogni dello stomaco. Non
apparivano mai sazi. Forse avevano troppo digiunato, nella loro
terra, nel regime di economia, per la preparazione alla guerra,
che insanguinava il mondo Volevano evidentemente reintegrare il
perduto, a scapito degli altri
Dei comuni cibi non erano soddisfatti. I loro pranzi, inaffiati
da ottimi vini, che gustavano più della birra, dovevano essere
costituiti da scelte vivande. Le nostre contadine dovevano
lavorare d'astuzia per sottrarre alla requisizione il loro
pollame.
Burberi, severi, inflessibili erano però sempre questi ufficiali
nell'adempimento del loro dovere. Ma talvolta famigliarizzavano
con i soldati in un modo che nella nostra concezione latina,
molto ci meravigliava.
Nell'occupare i locali del Circolo teramano, per i loro
trattenimenti, offrivano un ricevimento, invitandovi autorità ed
elementi della milizia. Gli ufficiali, nello svolgimento della
festa, non erano appartati, non solo, ma rimanevano tra i
soldati, con i quali parlavano, allegramente scherzavano, come se
fossero di pari grado. A tavola sedevano promiscuamente, senza
alcuna distinzione. La cordialità aumentava, con l'aumentare del
vino che bevevano. I soldati, in verità, in un composto e
disciplinato contegno, non ne abusavano.
In un certo momento il colonnello, un super decorato, fatti
disporre per tre i presenti, nella grande sala, li faceva poi
sfilare, come in una rivista, al passo da noi chiamato romano, al
comando di altro ufficiale superiore, dinanzi al suo tavolo, sul
quale egli era, impettito e con il braccio teso.
[36] Nessuno dei nostri ufficiali, anche il meno serio, si sarebbe così
comportato. Un'altra stranezza dell'umana natura, che faceva pure
pensare.
Poi con soldati tedeschi e con soldati della milizia, si
formavano due separati gruppi. Ogni gruppo, successivamente, si
alternava in canti della guerra e in canti della patria.
Appartenevano i soldati tedeschi a truppa scelta; scelti anche
essi erano i nostri, per la loro prestanza fisica, per il
giovanile entusiasmo, per la svegliata intelligenza, per il forte
spirito militare e nazionale.
Dal canto che saliva da quei due gruppi, forte nelle parole, nel
significato, nell'ardore, si capiva il tormento patriottico, da
cui erano agitati. Pareva di assistere ad una delle più nobili
tenzoni, con le armi affilate sul campo di battaglia. I nostri
magnifici giovani, nel ribattere, con romano spirito, i forti
teutonici, riaffermavano la loro appartenenza ad una gloriosa
razza, di gloriosa storia.
Certo, tutto con quei giovani si sarebbe potuto osare, come si
era osato, per altre conquiste. Invece ben altro, al loro onore e
al loro ardore, era per allora riservato.
Bella santa gioventù nostra, uccisa, travolta, dispersa, nella
torbida tragedia, quando e da chi sarà a noi restituita?
Mantenevano alto il prestigio tedesco i soldati di transito,
diretti al fronte, che si presentavano robusti, vigorosi,
aitanti; che si distinguevano dagli altri, anche per quella loro
andatura sciolta, decisa, superbamente marziale. Pareva che nulla
dovesse fare ad essi ostacolo, anche quando camminavano in città,
per loro conto. Prepotenti come sempre, apparivano decisi nelle
loro azioni, contro qualunque forza. Osservavano la consegna,
sacra per essi, sino al sacrificio. Non accennavano mai a
stanchezza, nè a sfiducia. Non disperavano, anzi fermamente
credevano alla vittoria, di cui cantavano, nelle loro cadenzate
vibrate marce, la poesia, la bellezza, la gloria.
Si pensava, nel vederli e nell'ascoltarli, che quei soldati,
dalle molte possibilità, possedessero tutte le qualità per
vincere. Forse avrebbero vinto, se in contrapposto a quelle loro
personali doti non vi fossero stati errori gravi, politici e
militari, da parte dei loro troppo esaltati capi.
[37] Poca stima avevano dei soldati delle altre nazioni, che si
reggevano come essi affermavano, soltanto in forza dei potenti
mezzi meccanici, carri armati ed aeroplani, di cui disponevano.
Si ritenevano, a parità di condizioni, invincibili. Forse non
esageravano, poichè avevano dato su i campi di battaglia
splendide prove di capacità e di valore. Comunque, avevano
dimostrato come per la fanatica fede al loro capo e per l'amore
alla loro patria, sapessero serenamente soffrire, combattere e
morire.
La guerra, certo, la sapevano fare. Gli sfollati, che giungevano
dalle vicinanze del fronte abruzzese, pur nel loro odio, ne
parlavano con molto rispetto. Dicevano e confermavano
concordemente, che mediante stratagemmi ed abili spostamenti,
erano capaci, anche se in pochi, di tenere in iscacco massicci
reparti, per molto tempo.
Abilità particolare dimostravano nel sottrarsi ai duri colpi
della distruzione. Quando le truppe alleate, ritenendo, con più
potenti mezzi, d'aver tutto frantumato, ritentavano la prova,
erano ancora respinte da quegli uomini, che parevano usciti
d'improvviso, come potenza infernale, da misteriose profondità.
Intanto, il ritardo di quella avanzata, che molti speravano, dopo
Salerno, decisamente rapida, determinando molte delusioni,
rendeva sempre più viva e pungente l'angosciosa attesa della
liberazione.
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