Umberto Adamoli
Nel turbinio d'una tempesta
(dalle pagine del mio diario. 1943-1944)



I Tedeschi

[34] Si credeva generalmente che i Tedeschi fossero moderati nelle loro esigenze. Si raccontavano episodi sulla loro vita che accreditavano quella leggenda, che li elevava ai severi costumi degli Spartani o Romani dei migliori tempi. Invero, chi era stato in Germania aveva notato in essi molta disciplina, un senso superiore d'ordine, un severo controllo di sé e dei propri atti, un rispetto fanatico alle loro leggi. Ne riportava l'impressione di un popolo dalle doti veramente elevate, meritevole delle migliori fortune.
Quelli capitati a Teramo, quali ufficiali addetti ai comandi, producevano, sulle loro qualità, una certa delusione. Di natura doppia erano evidentemente. Non ne volevano proprio sapere di quei sacrifici imposti dalla guerra, ai quali filosoficamente si adattava l'ufficiale italiano. Davano, con le loro non moderate esigenze, rendendosi così maggiormente invisi, non poco fastidio agli uffici e alla popolazione.
Nella ricerca delle case, occupavano, tra le migliori, non soltanto quelle disponibili per sfollamento, ma anche quelle altre, i cui proprietari erano presenti. Imponevano ad essi senza eccezioni e senza discussioni, creando situazioni penosamente difficili, lo sgombero in poche ore. Una volta dentro vi apportavano modifiche, non esclusa la sostituzione con mobili prelevati altrove, da rendere non facile la ricomposizione della casa, alla loro partenza. Per i mobili che rimanevano, s'intende.
Normalmente, partendo, portavano con se ogni cosa, dalla sedia al pianoforte, se vi si trovava. Del tutto inutili gli esperimenti di accurati interramenti e di bene mascherate murature. Tutto scoprivano, comunque nascosto, e tutto predavano, senza riguardi per nessuno.
Inutili le proteste. Il comune, che ne era esso stesso vittima, con il suo intervento, anche energico, poteva attenuare, ma non eliminare i soprusi compiuti con evidente spirito di rappresaglia.
[35] S'illudeva non poco colui che poteva ancora credere che, con la proclamazione della repubblica sociale fascista, i Tedeschi ci considerassero ancora amici. Dopo l'armistizio, da essi qualificato perfido tradimento, e ce lo facevano capire in tutti i modi, non si poteva sperare un migliore trattamento.
Di paesi nordici, soffrivano molto il freddo. Per l'invernata requisivano tutto il carbone, ovunque si trovasse. Così, mentre nei locali da essi occupati si soffocava dal caldo, i nostri uffici, le nostre scuole, le nostre case rimanevano senza riscaldamento.
Nè erano meno esigenti per i bisogni dello stomaco. Non apparivano mai sazi. Forse avevano troppo digiunato, nella loro terra, nel regime di economia, per la preparazione alla guerra, che insanguinava il mondo Volevano evidentemente reintegrare il perduto, a scapito degli altri
Dei comuni cibi non erano soddisfatti. I loro pranzi, inaffiati da ottimi vini, che gustavano più della birra, dovevano essere costituiti da scelte vivande. Le nostre contadine dovevano lavorare d'astuzia per sottrarre alla requisizione il loro pollame.
Burberi, severi, inflessibili erano però sempre questi ufficiali nell'adempimento del loro dovere. Ma talvolta famigliarizzavano con i soldati in un modo che nella nostra concezione latina, molto ci meravigliava.
Nell'occupare i locali del Circolo teramano, per i loro trattenimenti, offrivano un ricevimento, invitandovi autorità ed elementi della milizia. Gli ufficiali, nello svolgimento della festa, non erano appartati, non solo, ma rimanevano tra i soldati, con i quali parlavano, allegramente scherzavano, come se fossero di pari grado. A tavola sedevano promiscuamente, senza alcuna distinzione. La cordialità aumentava, con l'aumentare del vino che bevevano. I soldati, in verità, in un composto e disciplinato contegno, non ne abusavano.
In un certo momento il colonnello, un super decorato, fatti disporre per tre i presenti, nella grande sala, li faceva poi sfilare, come in una rivista, al passo da noi chiamato romano, al comando di altro ufficiale superiore, dinanzi al suo tavolo, sul quale egli era, impettito e con il braccio teso.
[36] Nessuno dei nostri ufficiali, anche il meno serio, si sarebbe così comportato. Un'altra stranezza dell'umana natura, che faceva pure pensare.
Poi con soldati tedeschi e con soldati della milizia, si formavano due separati gruppi. Ogni gruppo, successivamente, si alternava in canti della guerra e in canti della patria. Appartenevano i soldati tedeschi a truppa scelta; scelti anche essi erano i nostri, per la loro prestanza fisica, per il giovanile entusiasmo, per la svegliata intelligenza, per il forte spirito militare e nazionale.
Dal canto che saliva da quei due gruppi, forte nelle parole, nel significato, nell'ardore, si capiva il tormento patriottico, da cui erano agitati. Pareva di assistere ad una delle più nobili tenzoni, con le armi affilate sul campo di battaglia. I nostri magnifici giovani, nel ribattere, con romano spirito, i forti teutonici, riaffermavano la loro appartenenza ad una gloriosa razza, di gloriosa storia.
Certo, tutto con quei giovani si sarebbe potuto osare, come si era osato, per altre conquiste. Invece ben altro, al loro onore e al loro ardore, era per allora riservato.
Bella santa gioventù nostra, uccisa, travolta, dispersa, nella torbida tragedia, quando e da chi sarà a noi restituita?

Mantenevano alto il prestigio tedesco i soldati di transito, diretti al fronte, che si presentavano robusti, vigorosi, aitanti; che si distinguevano dagli altri, anche per quella loro andatura sciolta, decisa, superbamente marziale. Pareva che nulla dovesse fare ad essi ostacolo, anche quando camminavano in città, per loro conto. Prepotenti come sempre, apparivano decisi nelle loro azioni, contro qualunque forza. Osservavano la consegna, sacra per essi, sino al sacrificio. Non accennavano mai a stanchezza, nè a sfiducia. Non disperavano, anzi fermamente credevano alla vittoria, di cui cantavano, nelle loro cadenzate vibrate marce, la poesia, la bellezza, la gloria.
Si pensava, nel vederli e nell'ascoltarli, che quei soldati, dalle molte possibilità, possedessero tutte le qualità per vincere. Forse avrebbero vinto, se in contrapposto a quelle loro personali doti non vi fossero stati errori gravi, politici e militari, da parte dei loro troppo esaltati capi.
[37] Poca stima avevano dei soldati delle altre nazioni, che si reggevano come essi affermavano, soltanto in forza dei potenti mezzi meccanici, carri armati ed aeroplani, di cui disponevano. Si ritenevano, a parità di condizioni, invincibili. Forse non esageravano, poichè avevano dato su i campi di battaglia splendide prove di capacità e di valore. Comunque, avevano dimostrato come per la fanatica fede al loro capo e per l'amore alla loro patria, sapessero serenamente soffrire, combattere e morire.

La guerra, certo, la sapevano fare. Gli sfollati, che giungevano dalle vicinanze del fronte abruzzese, pur nel loro odio, ne parlavano con molto rispetto. Dicevano e confermavano concordemente, che mediante stratagemmi ed abili spostamenti, erano capaci, anche se in pochi, di tenere in iscacco massicci reparti, per molto tempo.
Abilità particolare dimostravano nel sottrarsi ai duri colpi della distruzione. Quando le truppe alleate, ritenendo, con più potenti mezzi, d'aver tutto frantumato, ritentavano la prova, erano ancora respinte da quegli uomini, che parevano usciti d'improvviso, come potenza infernale, da misteriose profondità.
Intanto, il ritardo di quella avanzata, che molti speravano, dopo Salerno, decisamente rapida, determinando molte delusioni, rendeva sempre più viva e pungente l'angosciosa attesa della liberazione.

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