Umberto Adamoli
Nel turbinio d'una tempesta
(dalle pagine del mio diario. 1943-1944)



Variazioni in tono minore

[52] Nei mesi che seguivano nulla accadeva di notevole. Le richieste al comune si erano rese meno frequenti. I Tedeschi, con la conoscenza che ormai avevano acquistata della città, per quella loro naturale diffidenza, molte cose se le sbrigavano da sè; ma si rendevano, con i loro sistemi, sempre più insopportabili. Non si riusciva ancora ad impedire i selvaggi rastrellamenti, che rappresentavano una vera odiosa caccia all'uomo: caccia nelle strade, nelle case, negli uffici, nelle campagne. Caccia a quegli uomini di ogni età, di ogni condizione, che caricati, come bestie, su autocarri, dai quali i rastrellatori si facevano seguire, erano trasportati, per lavori, verso il fronte.
Molti, per sottrarsi alla cattura, fuggivano verso la campagna, verso i monti, verso i partigiani, che vedevano in tal modo aumentare, ad opera degli stessi Tedeschi, le loro file; altri si salvavano col rifugiarsi presso uffici, ove si facevano figurare come propri funzionari. Ad altri ancora, per sottrarli alla cattura, si rilasciavano certificati attestanti titoli, professioni, impieghi, mestieri mai esercitati. Anche la qualifica di studente o di « indispensabile ad ipotetiche funzioni di pubblico interesse, fioriva coraggiosamente rigogliosa.
Si ricorreva a tutti gli espedienti per attenuare, se non annullare, la caparbia prepotenza teutonica.
Si dava la caccia anche agli ufficiali, i quali erano condotti in altre regioni, molti internati nella stessa Germania.
Si alienavano, di conseguenza, sempre più le simpatie di coloro che, in qualche modo, erano stati ammiratori dei Tedeschi e delle loro buone qualità ; aumentava sempre più negli altri lo spirito della reazione e dell' odio.
Dopo vive coraggiose proteste, da parte delle autorità, i rastrellamenti, che mortificavano davvero I' umana dignità, si attenuavano, anzi a Teramo finivano. Nè di partigiani, che s'aggiravano nelle vicine campagne, si parlava ulteriormente.
[53] Qualche volta si spargeva sì sangue, ma quello fraterno. Come sangue fraterno si spargeva al fronte, ove gli Italiani, per un oscuramento dello spirito, per l'insensato odio di parte, combattevano in campi opposti, con quegli stranieri, dai quali ognuno aspettava, con uguale errata fiducia, la propria salvezza. Non ricevevano, per intanto, dagli uni e dagli altri, che disprezzo, miseria, distruzione.

La poderosa aviazione alleata continuava, nel frattempo, nelle sue visite, sganciando quà e là, a casaccio, le sue bombe. Una notte erano messi a rumore i due fiumi, il Tordino ed il Vezzola, che avvolgono, nella loro freschezza, la pretuziana città. Non se ne spiegava la ragione, non essendovi nè strade, nè opere militari, nè, in quel momento, presenza di truppe.
Le allegre Ninfe delle acque, risorte per I' occasione, con falsi segnali, avevano voluto fare forse un burlesco scherzo ai notturni feroci volatori.
Non vi erano vittime umane, questa volta. Rimanevano danneggiate, però, le case non lontane, che si vedevano, poi, con i muri lesionati, i vetri rotti, le porte sfasciate.

[54] Dopo una tregua, che faceva molto pensare, si rinnovava un largo movimento di truppe, dirette verso il fronte, che si era nel frattempo ancora avvicinato, o da esso provenienti. delle soste a Teramo, sempre pericolose per i bombardamenti che potevano provocare, tornavano a tormentare il comune, con richieste, che non si esaurivano mai. Rioccupavano, intanto, le caserme, le scuole, già ripulite, i magazzini, le case.
Con le truppe arrivavano altri comandi, i quali, come quelli precedenti, chiedevano case, mobili, biciclette, macchine da scrivere, apparecchi radio, automobili. Avevano le case, che non si potevano nascondere, che requisivano con la forza, ma non avevano altro.
Per i molti servizi e per il deposito delle armi e munizioni requisivano il macello, l'autocentro, l' orto agrario, le autorimesse e i cortili, trasformando Teramo in una pericolosa officina.
Avevano disposto, inoltre, un servizio antiaereo, con cannoni e mitragliatrici, allo scoperto, in Piazza Garibaldi, nei pubblici giardini, sulle vicine colline. Costituiva ciò un vero pericolo e la città ne era allarmata. Dopo le mie vivaci rimostranze, quelle armi erano portate in altra lontana località.
Davano ancora disposizioni per un raduno di cani. Che cosa ne volessero fare non si sapeva. Se ne videro di ogni razza e di ogni colore, accompagnati dai dolenti proprietari, giungere comicamente da tutte le parti. Pazienza per i cani, in - un momento di diffusa idrofobia.
Ma altro pericolo sorgeva d' improvviso per il patrimonio zootecnico, con I' ordinata requisizione graduale di tutti i nostri bovini. Manifestavo apertamente la mia contrarietà, rifiutando, nonostante le consuete minacce, qualunque indicazione. Si dava corso all' invito per un primo raduno, più tardi, su ordine della Prefettura. Ma l'intesa con i proprietari, che se ne restavano raccolti lungo le vallate del Tordino e del Vezzola, risultava perfetta: poche bestie e delle più scarte si presentavano alla consegna. Le altre, non avendo dato i Tedeschi segni di risentimenti, se ne tornavano, dalle vallate, alle proprie stalle.
[55] Ma già altre volte, pur nella loro diffidenza e rigida vigilanza, i Tedeschi erano stati giocati. Al loro giungere erano state impartite riservate disposizioni per la distribuzione al popolo, nella più larga misura, del grano giacente presso i diversi depositi della provincia, del quale essi avevano già iniziata la requisizione.
Il comune di Teramo, vigile sempre e previdente, avvalendosi della cooperazione del commerciante Antonio Sciarra, acquistava di quel grano per proprio conto, duemila quintali, e settanta quintali di granone. Costituivano una preziosa riserva, da tutti ignorata, financo dalla Prefettura; riserva che riusciva davvero provvidenziale, quando, nell' esaurirsi delle ordinarie scorte, lo spauracchio della fame si agitava con le sue nere ali.
Aumentando, inoltre, notevolmente le cifre, nei riguardi degli sfollati, degli internati e della stessa popolazione teramana, si riusciva a portar via dalle medesime riserve tedesche grano, grassi e carne.
Agendo in tal modo, ricorrendo a tutte le astuzie, a tutti i sotterfugi per attenuare i soprusi di chi ingiustamente calpestava la nostra terra, sembravamo noi artefici di inganni e di malefici, e come tali, se scoperti, severamente puniti. I Tedeschi che, mediante il prepotente uso della forza, ci angariavano in tutti i modi, potevano sembrare le vittime.
Sempre bizzarra e sempre piena di contrasti e di curiosità la povera vita!
Il Comune, bene coadiuvato dal capo ufficio rag. Ubaldo Mariani, aveva fatto da sè, e, forse, non aveva sbagliato. Il popolo, in conseguenza di quegli atti, mangiava, i refettori dell'assistenza erano messi in condizioni di offrire a tutti abbondante minestra e pane.

[56] In questo frattempo tornava dalle armi il vice Podestà avvocato Angelo Rolli. Essendosi allontanato arbitrariamente dal suo reparto, per non servire nella repubblica, non viveva troppo tranquillo. Spesso, infatti, era ricercato e invitato a riprendere senza indugio, il suo posto. Per sottrarsi ad eventuali atti di violenza, spesso si rifugiava nella campagna o su la montagna. Queste assenze dalla città divenivano più frequenti quando alla sua ricerca muovevano anche i Tedeschi.
L' esonero dal richiamo, più volte sollecitato, nella confusione degli ordini e dei contrordini, non dava molto affidamento. Ma pure, per quel senso di alta onestà, che guidava tutte le sue azioni, in mezzo alle tante vicissitudini, non trascurava il suo ufficio.
Anche nell'anno del più duro travaglio, mettendo in atto le ottime qualità, di cui era largamente dotato, continuava a rendere, in modo proficuo, la sua intelligente affettuosa collaborazione.

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