|
Variazioni in tono minore
[52] Nei mesi che seguivano nulla accadeva di notevole. Le richieste
al comune si erano rese meno frequenti. I Tedeschi, con la
conoscenza che ormai avevano acquistata della città, per quella
loro naturale diffidenza, molte cose se le sbrigavano da sè; ma
si rendevano, con i loro sistemi, sempre più insopportabili. Non
si riusciva ancora ad impedire i selvaggi rastrellamenti, che
rappresentavano una vera odiosa caccia all'uomo: caccia nelle
strade, nelle case, negli uffici, nelle campagne. Caccia a quegli
uomini di ogni età, di ogni condizione, che caricati, come
bestie, su autocarri, dai quali i rastrellatori si facevano
seguire, erano trasportati, per lavori, verso il fronte.
Molti, per sottrarsi alla cattura, fuggivano verso la campagna,
verso i monti, verso i partigiani, che vedevano in tal modo
aumentare, ad opera degli stessi Tedeschi, le loro file; altri si
salvavano col rifugiarsi presso uffici, ove si facevano figurare
come propri funzionari. Ad altri ancora, per sottrarli alla
cattura, si rilasciavano certificati attestanti titoli,
professioni, impieghi, mestieri mai esercitati. Anche la
qualifica di studente o di « indispensabile ad ipotetiche
funzioni di pubblico interesse, fioriva coraggiosamente
rigogliosa.
Si ricorreva a tutti gli espedienti per attenuare, se non
annullare, la caparbia prepotenza teutonica.
Si dava la caccia anche agli ufficiali, i quali erano condotti in
altre regioni, molti internati nella stessa Germania.
Si alienavano, di conseguenza, sempre più le simpatie di coloro
che, in qualche modo, erano stati ammiratori dei Tedeschi e delle
loro buone qualità ; aumentava sempre più negli altri lo
spirito della reazione e dell' odio.
Dopo vive coraggiose proteste, da parte delle autorità, i
rastrellamenti, che mortificavano davvero I' umana dignità, si
attenuavano, anzi a Teramo finivano. Nè di partigiani, che
s'aggiravano nelle vicine campagne, si parlava ulteriormente.
[53] Qualche volta si spargeva sì sangue, ma quello fraterno. Come
sangue fraterno si spargeva al fronte, ove gli Italiani, per un
oscuramento dello spirito, per l'insensato odio di parte,
combattevano in campi opposti, con quegli stranieri, dai quali
ognuno aspettava, con uguale errata fiducia, la propria salvezza.
Non ricevevano, per intanto, dagli uni e dagli altri, che
disprezzo, miseria, distruzione.
La poderosa aviazione alleata continuava, nel frattempo, nelle
sue visite, sganciando quà e là, a casaccio, le sue bombe. Una
notte erano messi a rumore i due fiumi, il Tordino ed il Vezzola,
che avvolgono, nella loro freschezza, la pretuziana città. Non
se ne spiegava la ragione, non essendovi nè strade, nè opere
militari, nè, in quel momento, presenza di truppe.
Le allegre Ninfe delle acque, risorte per I' occasione, con falsi
segnali, avevano voluto fare forse un burlesco scherzo ai
notturni feroci volatori.
Non vi erano vittime umane, questa volta. Rimanevano danneggiate,
però, le case non lontane, che si vedevano, poi, con i muri
lesionati, i vetri rotti, le porte sfasciate.
[54] Dopo una tregua, che faceva molto pensare, si rinnovava un largo
movimento di truppe, dirette verso il fronte, che si era nel
frattempo ancora avvicinato, o da esso provenienti. delle soste a
Teramo, sempre pericolose per i bombardamenti che potevano
provocare, tornavano a tormentare il comune, con richieste, che
non si esaurivano mai. Rioccupavano, intanto, le caserme, le
scuole, già ripulite, i magazzini, le case.
Con le truppe arrivavano altri comandi, i quali, come quelli
precedenti, chiedevano case, mobili, biciclette, macchine da
scrivere, apparecchi radio, automobili. Avevano le case, che non
si potevano nascondere, che requisivano con la forza, ma non
avevano altro.
Per i molti servizi e per il deposito delle armi e munizioni
requisivano il macello, l'autocentro, l' orto agrario, le
autorimesse e i cortili, trasformando Teramo in una pericolosa
officina.
Avevano disposto, inoltre, un servizio antiaereo, con cannoni e
mitragliatrici, allo scoperto, in Piazza Garibaldi, nei pubblici
giardini, sulle vicine colline. Costituiva ciò un vero pericolo
e la città ne era allarmata. Dopo le mie vivaci rimostranze,
quelle armi erano portate in altra lontana località.
Davano ancora disposizioni per un raduno di cani. Che cosa ne
volessero fare non si sapeva. Se ne videro di ogni razza e di
ogni colore, accompagnati dai dolenti proprietari, giungere
comicamente da tutte le parti. Pazienza per i cani, in - un
momento di diffusa idrofobia.
Ma altro pericolo sorgeva d' improvviso per il patrimonio
zootecnico, con I' ordinata requisizione graduale di tutti i
nostri bovini. Manifestavo apertamente la mia contrarietà,
rifiutando, nonostante le consuete minacce, qualunque
indicazione. Si dava corso all' invito per un primo raduno, più
tardi, su ordine della Prefettura. Ma l'intesa con i proprietari,
che se ne restavano raccolti lungo le vallate del Tordino e del
Vezzola, risultava perfetta: poche bestie e delle più scarte si
presentavano alla consegna. Le altre, non avendo dato i Tedeschi
segni di risentimenti, se ne tornavano, dalle vallate, alle
proprie stalle.
[55] Ma già altre volte, pur nella loro diffidenza e rigida
vigilanza, i Tedeschi erano stati giocati. Al loro giungere erano
state impartite riservate disposizioni per la distribuzione al
popolo, nella più larga misura, del grano giacente presso i
diversi depositi della provincia, del quale essi avevano già
iniziata la requisizione.
Il comune di Teramo, vigile sempre e previdente, avvalendosi
della cooperazione del commerciante Antonio Sciarra, acquistava
di quel grano per proprio conto, duemila quintali, e settanta
quintali di granone. Costituivano una preziosa riserva, da tutti
ignorata, financo dalla Prefettura; riserva che riusciva davvero
provvidenziale, quando, nell' esaurirsi delle ordinarie scorte,
lo spauracchio della fame si agitava con le sue nere ali.
Aumentando, inoltre, notevolmente le cifre, nei riguardi degli
sfollati, degli internati e della stessa popolazione teramana, si
riusciva a portar via dalle medesime riserve tedesche grano,
grassi e carne.
Agendo in tal modo, ricorrendo a tutte le astuzie, a tutti i
sotterfugi per attenuare i soprusi di chi ingiustamente
calpestava la nostra terra, sembravamo noi artefici di inganni e
di malefici, e come tali, se scoperti, severamente puniti. I
Tedeschi che, mediante il prepotente uso della forza, ci
angariavano in tutti i modi, potevano sembrare le vittime.
Sempre bizzarra e sempre piena di contrasti e di curiosità la
povera vita!
Il Comune, bene coadiuvato dal capo ufficio rag. Ubaldo Mariani,
aveva fatto da sè, e, forse, non aveva sbagliato. Il popolo, in
conseguenza di quegli atti, mangiava, i refettori dell'assistenza
erano messi in condizioni di offrire a tutti abbondante minestra
e pane.
[56] In questo frattempo tornava dalle armi il vice Podestà avvocato
Angelo Rolli. Essendosi allontanato arbitrariamente dal suo
reparto, per non servire nella repubblica, non viveva troppo
tranquillo. Spesso, infatti, era ricercato e invitato a
riprendere senza indugio, il suo posto. Per sottrarsi ad
eventuali atti di violenza, spesso si rifugiava nella campagna o
su la montagna. Queste assenze dalla città divenivano più
frequenti quando alla sua ricerca muovevano anche i Tedeschi.
L' esonero dal richiamo, più volte sollecitato, nella confusione
degli ordini e dei contrordini, non dava molto affidamento. Ma
pure, per quel senso di alta onestà, che guidava tutte le sue
azioni, in mezzo alle tante vicissitudini, non trascurava il suo
ufficio.
Anche nell'anno del più duro travaglio, mettendo in atto le
ottime qualità, di cui era largamente dotato, continuava a
rendere, in modo proficuo, la sua intelligente affettuosa
collaborazione.
[Capitolo Precedente] - [Indice] - [Capitolo Successivo]
|