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Azioni senza controllo
[82] In ogni movimento vi sono da fare osservazioni, che possono
tornare di utile insegnamento. Anche nelle manifestazioni che
seguivano la partenza dei Tedeschi da Teramo, accadevano fatti
degni di studio.
Il suono a distesa di campane, lo sventolio festoso di drappi e
di bandiere, i canti nei cortei rumorosi, le processioni nei
santuari, nella loro bellezza e nel loro significato, potevano
pure commuovere. Ma accadevano altre cose, che molto turbavano.
I reduci della montagna, o quelli che si presentavano come tali,
se avessero saputo conservare la padronanza di sè, in un momento
così delicato per l'ordine pubblico, si sarebbero potuti rendere
maggiormente benemeriti. Non vi erano da compiere qui atti
punitivi, poichè gli elementi che, in qualche modo, si potevano
ritenere compromessi, si erano allontanati. Ma nella solenne
ubriacatura, dl cui quasi tutti parevano colpiti, neppure essi
sapevano mettere un giusto limite alle loro azioni. Parlo
s'intende, di gregari, avendo i Capi saputo generalmente
conservare con prestigio il proprio posto.
Concorreva ad aumentare la confusione altra esaltata gente, che
nulla aveva a che fare con i partigiani, la quale, con fucile
imbracciato, con vistoso fazzoletto rosso al collo , con cappello
a sghimbescio, correva affannata da un punto all' altro della
città. Correva, tra gli applausi di altra agitata turba, contro
un nemico che esisteva soltanto nella propria annebbiata mente.
Gente vacua, senza dubbio, non responsabile dei propri atti. Ma
ad essa s'accodava, non si sa per quale altro abbuiamento
mentale, gente di altra tendenza, di altra educazione, di altre
aspirazioni. Gente matura, sempre vissuta in uno stato di
agiatezza, nell' amore della famiglia, nel timore di Dio.
Anch'essa, con la brava coccarda rossa all'occhiello, armata di
nodoso randello, appariva non meno accesa di bellicoso
donchisciottiano furore.
[83] Non mancavano quelle altre bennate persone, che in altri tempi
non lontani, in altri cortei, con altri distintivi, non si
stancavano d' approvare e d' applaudire in prima linea.
Innocue debolezze dell' umana natura! Ma non mancava, purtroppo,
in tanto trambusto, l' affioramento dello spirito del male, in
malefica funzione. L'uomo, che traeva da quel disordine
l'incitamento alla vendetta, ricercava l' uomo, lo malmenava, lo
arrestava. Nella generale demenza, non frenata dalla forza
pubblica, in quel momento paralizzata, si arrestavano, con uguale
facilità, l' operaio e il dotto, il povero e il ricco, il
professionista ed il sacerdote.
Io vivevo, in tanto smarrimento, senza timore, poichè la mia
opera di giustizia e d'umanità, a favore di Teramo e del suo
popolo, ed i miei sentimenti, erano da tutti conosciuti. D' altra
parte il mio caso, anche dal punto di vista politico, era stato
attentamente esaminato e favorevolmente definito dalla Polizia
alleata.
[84] Proprio in quei giorni della liberazione si erano presentati,
appunto nella mia abitazione, per una visita a carattere
politico, agenti della polizia polacca. Dopo aver frugato da per
tutto, ritirati documenti ed altre carte, m'invitavano a seguirli
nell'edificio della Gioventù italiana, loro sede, per un
interrogatorio, da parte di un loro ufficiale. Ivi giunto ero
invitato ad attendere in una sala del primo piano. Nel corridoio
vi si osservava un largo movimento di gente di incerta origine,
di agenti, di soldati. A mano a mano che il sole declinava, quel
movimento diminuiva, finiva. In fondo, vicino all' ingresso,
erano rimasti, come sentinelle, due soldati armati. Ogni cosa
faceva credere che io fossi in istato d' arresto, in attesa di
trasferimento. Scendeva intanto la notte, ma quell' ufficiale non
giungeva.
Questo ritardo mi preoccupava, non per me, ormai filosoficamente
rassegnato a tutto, ma per la mia famiglia, che a quell' ora non
mi vedeva rientrare.
L'ufficiale finalmente arrivava e dopo una conversazione molto
cordiale, mi congedava con dichiarazione che non sarei stato più
molestato, essendo risultata la mia condotta, sotto ogni punto di
vista, chiara, onesta, umanamente italiana.
Rientravo in famiglia allorchè, in un vivo orgasmo, si facevano
sul mio conto molte supposizioni. A giusta ragione, quando si
sapeva che neppure ai galantuomini, in quei giorni, era concesso
di vivere in sicurezza.
Non mancavano, infatti, successivamente, da parte di un piccolo
disonesto gruppo, capitanato da un un noto bisbetico uomo, atti a
me contrari. Egli, a cagione del popolo sofferente e degli
sfollati senza tetto, era stato molestato nel mal godimento della
sua male amministrata ricchezza. Anche questo signore, di
conseguenza, non si voleva far sfuggire la buona occasione per
tentare la sua vendetta.
[85] Era stato disposto dalle autorità centrali, per misure
precauzionali il fermo dei Podestà capoluogo di provincia, è
vero, ma di nomina repubblicana. Un uomo della Questura, aderendo
alla congiura, fingendo d'ignorare le favorevoli determinazioni
della Polizia alleata, estendeva arbitrariamente anche a me, di
nomina regia quella disposizione. Di conseguenza, in uno di quei
giorni, mentre, nella piena tranquilla sicurezza, attraversavo la
piazza del Carmine, due agenti, che mi si paravano dinanzi, mi
invitavano ad accompagnarli in Questura, ove quel galantuomo con
il tradizionale ipocrito pianto del coccodrillo, mi dichiarava in
istato di fermo e mi faceva condurre, senza neppure poter
salutare la famiglia, in quel fabbricato dalle ben ferrate porte.
Nel giungere al carcere, all'ingresso, ero sottoposto a tutte le
formalità, stabilite per i comuni delinquenti: trascrizione, nel
registro dei criminali, delle mie generalità; ritiro di tutti
gli oggetti e di tutti i valori; ritiro delle impronte digitali.
Ero così stato servito per la storia nera!
Andando oltre, ero accolto nella camerata n 6, a me assegnata,
dalla festosità di una coorte di giovani, di probi cittadini, di
onesti funzionari, dai quali ero stato preceduto.
Molta serenità vi regnava, ed ognuno si adoperava a rendere meno
uggiosa quella vita. Il poeta dialettale Guglielmo Cameli
allietava la brigata con la declamazione delle briose sue poesie.
Altri raccontavano novelle, di sapore boccaccesco; altri, episodi
pateticamente seri, o graziosamente ameni; altri ancora,
rattristando, le bastonature, alle quali erano stati
vigliaccamente sottoposti all'atto dell' arresto.
Ad un tale genere di trattamento, che ricordava nefasti tempi,
non era stato risparmiato neppure un mite sacerdote, accusato di
operosità fascista.
I segni apparivano ancora evidenti, nelle spalle illividite,
nelle teste rotte, negli occhi ammaccati.
[86] L' allegra serenità, con cui tali episodi si raccontavano, non
riusciva a nascondere la tempesta d'odio, che tumultuava in fondo
all'animo dei colpiti.
Io, rassegnato, ascoltavo e tacevo. Ascoltavo ma guardavo
intorno, quasi intontito, quasi incredulo dal trovarmi in quel
sudicio luogo, in forzato deleterio ozio. Luogo non ancora per
nulla penetrato dal soffio del civile progresso.
Il mio spirito attonito, attraversando le nere sbarre e la serena
aria, nella quale guizzavano liete le rondini, saliva in quei
momenti a trarre conforto in alto; saliva ai magni spiriti, un
giorno anch'essi vittime della insensata umana malvagità. Se un
dolore mi tormentava era per la mia buona compagna, la quale,
dopo aver trepidato per dieci mesi su la mia vita votata al
sacrificio ultimo, mi sapeva ora chiuso, senza ragioni, nelle
sofferenze di una buia stanza, con lo stesso trattamento del
comune delinquente.
Spesso, invero, le guardie irrompevano di giorno nella nostra
camerata, per rovistare nei pagliericci, nelle coperte, negli
indumenti, sottoponendo i detenuti, anche politici, che dovevano
mettersi vicino al proprio giaciglio, a perquisizione personale.
Era sempre vivo nei custodi il sospetto che si potessero detenere
o ricevere dall' esterno ordigni, con i quali commettere atti
criminosi. Visite avvenivano anche di notte, in ore diverse.
Sul far del giorno, e poco prima della notte, le nostre orecchie
erano deliziate dal rumoroso martellamento delle nere inferriate,
eseguito per accertarne l'integrità.
Tutto come nei penitenziari più foschi, ricoveri di gente più
tenebrosa.
Non sembrava concepibile che vi potessero essere là rinchiuse
persone innocenti, dagli onesti mansueti sentimenti.
C'è da augurare che anche in quest'ordine i nuovi tempi portino
un soffio di logica, umana modernità.
[87] I giorni passavano così in quel severo regime, ma io non
disperavo nella giustizia, che mai manca per gli onesti. Ogni
sera le speranze cadevano con le ombre, che malinconicamente
s'adunavano nella tetra cella; ma con la nuova alba, con il nuovo
giorno, nuove luci sfavillavano nel fondo del buio animo.
Si agitavano intanto a mio favore, tra i primi, i componenti del
Comitato di liberazione, che rappresentavano la città in ogni
ordine di idee, di dottrine, di aspirazioni.
Non poteva avere la mia onesta opera, a scorno del bisbetico
mestatore, premio più ambito.
Peroravano ancora la mia causa, concordemente e fraternamente,
presso le autorità, gli avvocati
Pio Mazzoni e Arturo Massignani, il maggiore Luigi Bologna, il
capitano Carlo Canger, gli Israeliti, gli sfollati, gli stessi
partigiani, tra cui Armando Ammazzalorso, che mi visitava in
carcere.
Una vera affettuosa plebiscitaria manifestazione, che molto
confortava. Di conseguenza, senza che io fossi sottoposto ad un
vero e proprio interrogatorio, con atto di squisita cortesia, il
maggiore comandante della polizia inglese, veniva di persona a
restituirmi la libertà.
La libertà ! Patrimonio prezioso, diritto sacro, sempre esaltato
e benedetto, ma che l' uomo, per la stessa volubile bizzarra sua
natura, non è riuscito, nè forse mai riuscirà a godere
appieno.
Dalle massicce inferriate avevo considerato commosso lo spazio
senza confine. Avevo guardato, con invidia, il contadino che
bruciava, nell'aperta campagna, sotto i cocenti raggi del sole di
luglio; l' artigiano che sudava, affaticato, nell' infuocata
officina; la lavandaia che cantava, nel basso, con le acque del
fiume; lo spazzino che si trascinava, in stanchi movimenti, con i
suoi attrezzi, su la sua impolverata strada.
Tutti sembravano a me superiori, nella loro libertà, persino i
matti, che lavoravano silenziosi nel loro orto agrario, su le
rive del Vezzola.
[88] Ma ora anch' io, fuori del tetro fabbricato, ero padrone, signore
dello spazio. Mi potevo muovere in qualunque direzione, come
volevo, senza essere guardato, senza essere controllato. I rigidi
custodi delle chiavi e delle ferrate porte, non avevano più su
di me autorità alcuna.
Fuori sostavo alquanto, raccolto nelle mie considerazioni. Il
sole piegava al tramonto. In quel recinto, che lasciavo, vi ero
stato altre volte, quale Podestà, in benefica funzione. Vi ero
tornato nelle grandi feste, a rendere ai rinchiusi, con la
parola, poi, ancora con le elargizioni, meno pungente la
ricordanza, più ricca per quel giorno la mensa, più viva per il
futuro la fede, la speranza.
Vi ero tornato poco prima dei nuovi eventi, per compiere verso
gli internati, colà rinchiusi, la stessa umanitaria opera.
Per la bizzarria della incerta vita, vi ero tornato ancora, ma
nella stessa qualità di quei beneficati: detenuto.
Casa strana. Non sua, ad ogni modo, era la colpa se in essa si
raccoglievano, nelle alterne vicende, le umane sventure La colpa
risaliva ai vizi, agli inganni, alla guasta natura dello stesso
uomo. Il penitenziario poteva stare là, come un monumento, ad
osservare, con uguale filosofia, gli ospiti che vi giungevano e
quelli che ne uscivano ospiti qualche volta puri, nella loro
innocenza; tale altra macchiati delle più brutte colpe. Ne
poteva ancora ascoltare, chiusi nel ferreo grembo, i lamenti e le
imprecazioni, i sospiri e le preghiere, ma soltanto per la
trascrizione nel proprio doloroso diario. La sua esistenza, che
discendeva, come necessaria funzione sociale, con i delitti dai
secoli, sarebbe passata con i delitti, per l' umana difesa, nei
secoli futuri.
Con queste considerazioni me ne allontanavo, correvo a casa, a
confortare innanzi tutto la mia buona compagna, che pregava
ancora per la mia liberazione; a confortare, in una vera festa,
gli altri familiari, che ad essa facevano compagnia.
E festa era anche tra i miei amici, tra essi gli Ebrei, che
correvano numerosi a porgermi il loro affettuoso saluto.
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