(segue) Ai veliti del grano
(10 ottobre 1926)
[Inizio scritto]
Non si colorisce troppo in roseo
la realtà quando si afferma che la parola d'ordine della
battaglia del grano, che è poi in realtà una parola
d'ordine per tutta l'agricoltura, è giunta fino agli ultimi
casolari degli ultimi villaggi d'Italia. Affermo che siamo veramente
dinanzi ad una specie di mobilitazione spontanea e commovente di
tutte le forze rurali italiane.
Sono orgoglioso di essere alla
testa di questa mobilitazione, io che mi sento profondamente rurale,
e non lo dico per fare una stupida frase o per assumere una posa che
sarebbe ridicola; mi sento profondamente rurale perché ritengo
che l'Italia possa nutrire se stessa anche se la popolazione aumenta.
Perché, pur non esagerando il valore che ha la volontà
sui fenomeni umani, è evidente che la volontà è
essa stessa una forza che combatte e può dominare le altre
forze.
Bisogna che coloro i quali
riducono a certe formule materialistiche tutto il complesso dei
fenomeni della vita ammettano, per lo meno, che tra le forze della
vita e della storia c'è anche quella forza che si chiama
volontà umana.
E questa volontà, che è
la vostra volontà, o agricoltori d'Italia, non è una
volontà inerme, è una volontà armata, cioè
armata della tecnica ed armata degli aiuti che il Governo vi ha dati
e vi potrà dare. La misura che a mio avviso è stata
fondamentale e che io manterrò, la misura protettiva
sull'industria dei campi, cioè diciamolo pure nettamente, il
dazio doganale sul grano è stato quello che ha consigliato
agli agricoltori anche nel loro interesse di dedicarsi alla coltura
del grano, perché anche la coltura del grano è
diventata sufficientemente redditizia. Tale deve restare, perché,
come dissi altra volta, la bilancia commerciale è passiva del
50 per cento solo per la importazione del grano. Su 8 miliardi di
deficit, 4 miliardi sono dovuti alla importazione di cereali.
(segue...)
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