(segue) Il Centenario del Consiglio di Stato
(19 agosto 1931)
[Inizio scritto]

      Questa concezione filistea piccolo borghese della Rivoluzione fascista è da respingere come una parodia e un insulto. Discutere ancora se la sfera dell'economico rientri nello Stato e appartenga allo Stato è semplicemente — nella migliore delle ipotesi — assurdo e inattuabile. Nessuna sfera della vita individuale e collettiva può essere sottratta allo Stato; ogni sfera, anzi, rientra nello Stato e vive in quanto è nello Stato.
      Già prima del 1914, lo Stato era entrato nella sfera dell'economico, ma da allora ad oggi c'è stato quell'insignificante incidente che è la guerra mondiale, la quale ha avuto il torto di sovvolgere l'umanità intera e la vita dei popoli, in tutti i suoi aspetti politici, economici e spirituali. Non mai come oggi l'economia è diventata pubblica, squisitamente politica anzi. Gli stessi economisti che lo crearono hanno composto nella bara la salma dell'«homo oeconomicus»; puro e vivo è rimasto soltanto l'uomo integrale, mentre «economico» ha preso sempre più l'aspetto di fenomeno «sociale» in un complesso storico determinato.
      Lo Stato in genere e quello fascista in particolare, agisce sull'economico in un triplice modo; creando le condizioni generali più propizie allo sviluppo delle forze economiche del paese; aiutando le forze economiche sane quando da loro non possono rimontare la corrente poiché la loro volontà non è più sufficiente allo scopo; o quando, come nelle grandi bonifiche, i mezzi dell'iniziativa privata non bastano all'ampiezza del compito; lasciando perire senza pericolose indulgenze, gli organismi mal creati e mal diretti.
      Lo Stato corporativo fascista non vuole essere il semplice guardiano notturno nella politica, non vuole nemmeno essere soltanto una specie di Congregazione di carità dal punto di vista sociale.

(segue...)