Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Il leone di San Marco non fu deluso dall'opera svolta a suo favore, tra le montagne della Croazia, dai lupi del Martese, le zanne dei quali si incisero profondamente nelle carni dei feroci uscocchi.
     Venezia tributò a lui e ai suoi, al ritorno vittorioso, grandi feste.
     Quando, per oscure ragioni, era costretto a tornare, un suo compagno e compare, di nome Battistello, per riscuotere la grossa taglia, l'uccise nel sonno.
     Ecco, in breve, la storia del prode e generoso Marco Sciarra".
     "Fine tragica" osservò uno degli ascoltatori, "ma la sua memoria non finirà nel tempo. Non è vero, nonno Colranieri?"
     "E' vero. E anche vero che io sono vostro nonno, per qualcuno di voi anche bisnonno. Sono sui cento anni, miei cari".
     "Che Iddio vi conceda di godere ancora a lungo la luce del sole. Ci potreste svelare il segreto della vostra eterna giovinezza?"

     "Posso conservare la robustezza, non la giovinezza. Giovani siete voi, con i vostri venti anni. Non gli agi, certo, mi predisposero a resistere al disfacimento del tempo.
     Perché divenni bandito voi vorreste pure sapere. Tante le ragioni, come per voi. Come per voi concorse pure la tradizione familiare. Banditi erano stati mio bisnonno, mio nonno, mio padre; bandito e vostro buon compagno è oggi Titta, mio figlio. Una vera dinastia.
     Noi oggi operiamo come banditi, ma in difesa di una giusta causa. Non disdegnammo, qualche anno fa, io, Giulio Pezzola e Durante Montecchi, tuo padre, o Giulio, di schierarci con un certo Mezucelli contro un movimento rivoluzionario, non giusto, non giustificato. Possiamo noi sostenere il popolo, di cui facciamo parte, nelle oneste rivendicazioni, ma non quando, per venalità, si fa sgabello per favorire la salita di stolti demagoghi.


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Umberto