Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


Pagina 14
1-10- 20-30- 40-50- 60-70- 80-90- 100-110- 120-130

[Indice]

     Ciò che quelle iene in sembianza umana commisero sulla disgraziata città non è descrivibile. La carneficina orrenda cessò quando non si sentì più alito di vita. Il fuoco, appiccato in ogni casa, completò la diabolica distruzione. Allorché, dopo tre mesi, quei mostri s'allontanarono con le mani e con le anime lorde di sangue, Teramo non era che un cumulo di rovine. Non era rimasta in piede della bella città che una cappella della Cattedrale, con il corpo di san Berardo, collocatovi ventisette anni prima"
     "Caso veramente orrendo" molti osservarono.
     "Ma la città", continuò il Colranieri, "col ritorno del Vescovo, che se ne era allontanato, bene o male, era riedificata. Non tardarono a risorgervi, questa volta per opera di malefica gente nostrana, le lotte feroci.

     Lunga è la storia dei delitti compiuti, che vi racconterò un'altra volta e veniamo al nostro miracolo.
     Un secolo e mezzo fa, o poco più, nello stato di anarchia in cui continuava a vivere l'Italia, la riedificata Teramo era venduta, come una merce qualsiasi dall'imperatore Carlo V, al duca d'Atri. Aveva bisogno di danaro l'imperatore! La notizia gettò i pretuziani nella più viva costernazione. Le maggiori autorità e personalità, per scongiurare questa nuova sventura, si misero subito in movimento. Mandarono a Napoli, presso il Viceré, a perorare la buona causa, Colantonio Rapini e Sir Cola Bucciarelli. Si sarebbe dovuto far presente colà che mai i teramani, a costo di farsi nuovamente massacrare, si sarebbero sottoposti a quel duca, causa di molte loro sventure.


[Pagina Precedente] - [Indice] - [Pagina Successiva]

Umberto