I messi tornarono, ma con le più sconfortanti notizie. Il magistrato e i dodici consiglieri si riunirono per le loro deliberazioni. Su proposta del fiero Francesco Trimonzi, determinarono la difesa armata a oltranza.
Raccolsero a tale scopo viveri, armi, munizioni; costituirono reparti per la difesa; chiusero le porte; temperarono gli spiriti.
Il duca, sicuro che in via pacifica nulla avrebbe ottenuto, decise d'occupare la città con la forza.
Non mi perdo, nel racconto, in altri particolari. Basta a voi sapere che nella notte dal 17 al 18 novembre del 1521, cinquemila uomini occupavano la sponda sinistra del Vezzola, pronti a lanciarsi su l'alba, come le iene del conte di Loretello, su l'agognata preda. Ma sulla sponda opposta altra gente vegliava a difesa dei propri diritti e con essa vegliavano i suoi protettori. Ma a una certa ora della notte quei masnadieri, ai quali era stato promesso il saccheggio della città, se occupata, videro camminare sui bastioni una splendente figura di donna; un gigantesco uomo a cavallo, con un manto rosso, con la spada in aria che galoppava luminoso dall'un punto all'altro della muraglia.
Gli assalitori, invasi dallo spavento, gettati gli attrezzi per la scalata e le armi, si dettero a precipitosa fuga, e Teramo fu salva.
Da quel giorno il magistrato della città, in ogni nuovo anno, va a portare, per la ricordanza, un cero al suo Santo.
Ma il Carafa, tornando alla nostra narrazione, non si impaurì, non fuggì, assalì con i suoi armati la città e fu dal Mezucelli sconfitto. Noi, assolto il nostro impegno, senza tener più conto dell'indulto a noi concesso, riprendemmo la via assegnata a noi dal destino.
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