Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Dopo questa chiacchierata possiamo andare a dormire, miei bravi figliuoli, ché la notte è già alta. Le scolte veglieranno sul nostro sonno".



     Tutti andarono a dormire, tranne i giovani, che rimasero dinanzi al fuoco, in conversazione.
     "Alto è il silenzio che ci circonda, amici e compagni di giovinezza e di ventura", diceva agli altri Giulio Montecchi. "Silenzio degli uomini, non silenzio della natura, che, in questa notte di neve, fa sentire alta, con la bufera, la sua voce. Il Castellano laggiù, gonfio d'acqua, anch'esso innalza al cielo il suo lamento.
     Non è lieta la nostra vita e pietose sono le condizioni d'Italia. Impunemente ne calpestano il bel suolo, milizie di quei popoli che i nostri antenati, a giusta ragione, chiamavano barbari. La percorrono in ogni senso, la saccheggiano, vi commettono le più nefande azioni, senza che sorga la spada d'un Mario a punirle.

     Anche i nostri antenati, è vero, invasero, con le armi, le altrui terre, ma dove essi giunsero, disciplinati e maestosi, portarono, sia pure con la forza, il nuovo verbo di fratellanza e di civiltà. Dal loro genio, dono di Dio, nella santità del diritto, sbocciò il meraviglioso concetto dell'unione di tutti i popoli. E ci erano quasi riusciti, poiché tutti i popoli, allora conosciuti, guardarono e benedirono Roma come madre divina.
     Dovremmo, pensando al glorioso passato, davvero piangere sulle nostre sventure. Dovremmo piangere sulle cause che ci indussero, non potendo vivere da romani, a vivere da banditi. Non è invidiabile la nostra vita, ne dovete convenire amici. La dignità, la tradizione, l'onore, tutte belle cose; in realtà coi consumiamo la giovinezza nel modo più barbaro: nelle caverne in gara con i lupi. Meglio se fossi rimasto a completare, in seminario, la mia educazione, per poi andare a Sant'Omero a godere i beni a me donati dal defunto capo Geronimo e coronare un sogno..."


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Umberto