Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Noi non aggrediamo, ma ci difendiamo, come nostro diritto, quando ci attaccano. Puniamo, ma soltanto coloro che tentano di nuocerci. In contrapposto, ascoltiamo l'invocazione del povero, la voce del debole, il grido dell'oppresso."
     "Bravo, Santuccio!" Replicò il Montecchi. "Hai parlato con saggezza. Che qualche sirena abbia cantato pure nel tuo cuore?"
     "Siamo uomini, anche se banditi. Anch'io, però, ho rivolto gli occhi un po' troppo in alto. In alto, intendiamoci bene, per i pregiudizi del mondo, ché tutti, allo stesso modo, siamo figli di Dio."
     "In quale mare vive questa sirena?"
     "A Campli, e appartiene alla nobile famiglia Rozzi e si chiama Barbara."
     "Giacché siamo su questi discorsi, dichiaro che anche nel mio cuore, amici, è penetrato il dardo dalla punta calamitata" aggiunse il Colranieri. "Sono non soltanto innamorato, ma deciso a usare tutti i mezzi, pur di non rimanere a mani vuote. E' stata già informata, di queste intenzioni, la baronale famiglia dei Roccatani di Cellino, alla quale appartiene la mia Francesca.

     Dopo quanto ebbe a commettere a Civitella tuo fratello Giovanni, o Santuccio, quando gli fu sottratta la giovane Cherubini, spira per noi aria più favorevole."
     Questo ed altro dissero i giovani della montagna, nella notte di neve e di bufera.
     Giovani, che molto dovevano far parlare di sé, nel corso della loro movimentata vita.



     CAPITOLO TERZO

     Con la nuova bella stagione pareva che i banditi non mettessero più limiti alle loro azioni. Correvano, da padroni, il territorio della vasta provincia. Dai campi portavano via i prodotti, dai mercati gli utensili, dalle casse del pubblico tesoriere il danaro. A ogni loro impresa i regi mandavano soccorsi, che giungevano quando essi se ne erano tornati alla montagna.


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Umberto