Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Le tre bande, assolto il duro compito, tornarono a Teramo, ove furono accolte festosamente. Il Vicario, che parlò anche a nome del Viceré e della cittadinanza, espresse loro, con i ringraziamenti, la più profonda gratitudine per la generosa opera. S'aprì nello stesso tempo nella città una vera gara per offrire ai salvatori la più lieta ospitalità. Nel duomo, il giorno dopo, si celebrò una messa solenne, in suffragio dei caduti. Tutti vi erano presenti.
     Sante Lucidi, molto commosso, pareva riconoscersi in quei piccoli seminaristi, tra i quali un giorno era stato, ignaro degli inganni del mondo. Seguiva, con l'immaginazione, gli eventi che l'avevano condotto, non ad una parrocchia, per la cura delle anime, ma sulla montagna, tra i boschi, per farvi il bandito.

     Non sempre era stato cattivo; qualche volta, anzi, aveva compiuto atti generosi, ma era pur sempre un bandito. Pensava, nel raccoglimento del tempio, mentre il canto e la musica accompagnavano la messa, di farsi avanti, d'andare a gettarsi ai piedi del Vescovo, che sedeva sul trono, dietro l'altare, con composta dignità, e chiedergli perdono e la riammissione in seminario, per divenire servo di Dio. Ma alla visione di una calma vita, in una chiesa ornata d'angeli, non tardava a subentrare altra dolce figura e quando la funzione religiosa finì uscì, come tutti gli altri, nella città in movimento.



     Dopo le vicende e il festoso soggiorno di Teramo, le bande del Lucidi e del Colranieri, secondo il loro desiderio, partirono l'una per Civitella, l'altra per Cellino. La banda di Salvatore Bianchini rimase a guardia della città, che si sentiva minacciata dalle facinorose bande irriconciliabili, le quali s'aggiravano, con torvi propositi, nei territori di Rocca Santa Maria e di Torricella. Un fatale giorno, evidentemente ingannate da false informazioni, comparvero baldanzose alle porte della città, per il saccheggio.


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Umberto