Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Spiriti, ladri, banditi? Le urla giunsero lontano. Si corse alla campana. I rintocchi lenti, in quell'ora tarda, misero in subbuglio la città. E urla s'udivano fuori, rumori strani, colpi di archibugio. Gli armati, evidentemente, s'erano messi pure essi in movimento.
     Vista la mala parata i due si liberarono dei camici e s'unirono nel baccano agli altri.
     Si fecero il giorno dopo, dalla fervida fantasia popolare, le più strane congetture.



     Conclusa la sua missione Santuccio uscì nella notte e nella pioggia per tornare, con la sua scorta, a Boceto.
     Giulio Montecchi, non appena giorno, iniziò i preparativi della partenza che avvenne, con la sua banda, a tarda notte.
     Mentre i banditi, riuniti a Rocca Santa Maria, studiavano i loro progetti, a Teramo s'adunarono, presso il preside Torrejon, autorità e maggiorenti. I più sostenevano la necessità, ciò che faceva molto piacere allo spagnuolo, d'una energica azione per restituire pace alla provincia.

     "E' davvero doloroso", osservava il Torrejon, melanconicamente, "vedere le fabbriche chiuse, il commercio spento, i campi deserti, la miseria ovunque. I banditi, causa di tanta rovina, dominano per la nostra debolezza. Per finirla occorrono metodi forti: arrestare, deportare, distruggere, uccidere; ciò che noi fare e ne avremo i mezzi. Il Santo Padre manderà, per questa lotta risanatrice, anche sue truppe.
     "Mi dispiace per il Santo Padre" replicava Gian Carlo de Adamnis. Ma debbo dire anche a voi, come già dissi al vicario Aniello Porzio, che il banditismo non esisterebbe se non esistesse il vostro malgoverno. Non ai banditi si deve attribuire la distruzione di tutte le nostre attività da voli lamentata, ma alla vostra voracità, alle vostre gabelle, contro le quali insorse testé violentemente il popolo napoletano. Le vostre truppe, funeste sanguisughe, o meglio vampiri insaziabili, completano l'opera.


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Umberto