Un'altra sentinella comparve, più avanti, lo guardò con insistenza, lo seguì per qualche passo, si fermò.
Egli riconobbe alla sua destra lo Swinjak, che somiglia al Cervino. Vide balenare dei proiettori, lontano. Arrivava sino a lui a intervalli uno scrosciare di fucileria e di mitragliatrici. Trovò Coritenza distrutta, e ne sentì una gioia profonda. Entrava nel raggio d'azione dei nostri cannoni. Le sentinelle si facevano più numerose, ma non diffidavano di chi non veniva dalla parte del nemico. Avevano ognuna un rifugio scavato nella roccia.
L'italiano studiava la regolarità del suo incesso. Faceva sforzi sovrumani per non zoppicare. Le fasce da gamba, ficcate nelle tasche interne della tunica rovesciata, gli facevano un profilo pettoruto da oberleutenant in ronda. Dopo Coritenza il traffico moriva. Una sentinella, sorpresa forse in dormiveglia dal passo solitario, balzò fuori dalla sua nicchia di pietra e presentò l'arma. II fuggiasco portò la mano alla tempia nel gesto di saluto austriaco.
La strada si era allontanata dall'Isonzo sboccando nella conca di Plezzo. L'italiano vedeva avanti a se le vampe della linea di battaglia. Abbandonò la strada per trovare il fiume, la sua guida. Raggiunse un greto discese fino all'acqua. Cominciava ad albeggiare. Vide che la corrente fuggiva da destra a sinistra, come se il fiume avesse rovesciato il suo corso. Invece di arrivare all'Isonzo, egli era arrivato all'Oritnica.
Si trovava disorientato, smarrito, quando credeva di essere alla fine del suo Calvario. Era troppo tardi per ricercare la via. II giorno sorgeva, bisognava nascondersi, sparire. Affranto, angosciato, si rintanò fra i rovi della sponda. Da lì spiava, studiava. La sponda opposta era tutto un alveare di rifugi austriaci, un labirinto di camminamenti, di caverne, di posizioni di artiglieria, e più in alto, sulla pianura, le trincee. A furia di guardare, capiva; rinveniva le trincee italiane, si scolpiva nella memoria il loro svolgimento. Trascorse tutto il giorno così, non vivendo che per gli occhi.
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