Giuseppe Di Febo
Psicopedagogia dell'umorismo


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     Chi è dotato di senso dell'umorismo sa guardare il mondo con saggio distacco pur mantenendo vivissimo il contatto con le sue vicende. Anche per questo si deve vedere nell'umorismo una componente della persona. C'è gente che gioca con il linguaggio verbale con abilità degna del più spericolato giocoliere creando nonsense o plurisensi o semisensi a cascata.
     Ma naturalmente bisogna rifarsi ai "classici": da Edward Lear (7) e alla sua logica dell'incongruo, a Bruno Munari con la sua "Stimolazione alla creatività" (30). Si tratta di gente di spettacolo, di poeti che sanno scherzare, di scrittori in vena di evasione fuori dalle vie maestre della letteratura "seria", e ci offrono un ricco e vasto materiale, utilissimo anche per rispondere alla domanda: è possibile insegnare l'umorismo? Che vuol dire: si può usare l'umorismo come strumento a fine di atti educativi?
     Ma possiamo chiederci anche se è bene, posto che si possa proporsi di educare all'umorismo fino al punto di sviluppare le tendenze umoristiche nella personalità dei ragazzi e intanto fare intendere che sorridere degli eventi del mondo è un modo molto serio di affrontare questi eventi e i loro significati.
     Il gioco linguistico appare l'area in cui la competenza umoristica dei bambini può manifestarsi con maggiore evidenza e sembra preludere a sviluppi più ampi. Sicché educare all'umorismo potrebbe significare, soprattutto nell'età scolastica, sviluppare le abilità del gioco linguistico attraverso una intensa educazione all'uso creativo del linguaggio e ad un rapporto continuo insistito, divertente con gli usi linguistici non conformistici, senza trascurare in nessun momento di compiere il normale dovere di educare al rispetto delle regole sintattiche, semantiche, in generale a un uso corretto della lingua. Bisognerebbe insomma insegnare, o meglio far sperimentare, che esistono due fondamentali possibilità di usare la lingua materna: una è quella degli usi "normali", "regolari" per esprimersi e comunicare rispettando norme, scegliendo codici e registri adatti, perseguendo modelli di efficacia comunicativa, completezza, dignità stilistica, correttezza e rigore formale; una è quella degli usi irriguardosi, fantasiosi, bizzarri, l'area della contraddizione ammessa (e controllata), dell'incongruità accolta e goduta o prodotta per il godimento proprio e degli altri. Tutto ciò per la speranza che questo secondo tipo di educazione oltre a contribuire, insieme con l'altro, allo sviluppo di un'elevata competenza linguistica, possa indirizzare la personalità degli alunni verso il possesso d'uno spiccato senso dello humour: del contrasto fra regole e comportamenti (linguistici e no), fra aspettative e avvenimenti, la capacità di osservarli e di parlarne. Di crescere maturando l'attitudine a comprenderli. Questo per la convinzione che la persona educata in questa direzione disponga d'una dimensione in più, possieda una più spiccata attitudine alla disponibilità verso gli altri.