Lo Scrittore Dino Buzzati diceva che nelle scuole ci dovrebbe essere una cattedra di scherzo. Si tratta naturalmente di un paradosso scherzoso, ma si sa che i paradossi hanno una loro anima di verità. L'umorismo può salire in cattedra in vari modi: può occuparvi il posto della battuta per temperare di dolcezza amari sapori della didattica quotidiana; può costituire la parentesi rilassante in momenti di ricreazione; può essere utile per sottolineare errori; può servire come elemento di richiamo per fissare un dato nella memoria; può essere un buon fattore per migliorare i rapporti cattedra-banco.
La scuola è sempre stata investita di dignitosa serietà, per questo il ridere non vi ha mai trovato fortuna. In passato, un senso dell'umorismo alimentato e diffuso avrebbe prodotto la fatale demolizione della sua impalcatura retorica; il ridere era visto perciò come qualcosa di sovversivo. Oggi le cose sono alquanto mutate per l'evolversi del clima socio-culturale, soprattutto perché si è cominciato a capire che il ridere aiuta a migliorare i rapporti personali. L'umorismo dell'insegnante, quando è di buona lega e adatto all'ambiente, contribuisce a purificare, in classe, quel fattore "atmosfera" che rende più o meno respirabile il clima di scuola.
Ma per operare pedagogicamente in un'aula scolastica "aperta al riso" occorre un efficiente possesso del senso dell'umorismo da parte dell'insegnante, unito ad una vigile capacità di misurarne le opportunità; c'è in effetti il pericolo di scadere nel buffonesco e di far perdere la serietà nella scuola: il ridere per se stesso non è infatti sempre necessariamente conquista della comicità, in quanto potrebbe ridursi a superficialità e disimpegno dai valori. Val dunque la pena di considerare che anche per il ridere scolastico "est modus in rebus".
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