Umberto Adamoli
LA VOCE DELLE CARCERI
(Atto unico)


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     CARLO - Non capisco perché il governo non prenda al riguardo energici provvedimenti.

     FRANCESCO - Quali provvedimenti? Non sai che siamo in tempo di libertà, di democrazia?

     CARLO - E' vero, intanto noi ne andiamo di mezzo. E non soltanto noi. Io ritengo che sia uno dei più grandi dolori che si possa dare ai genitori, specialmente alla povera madre, nel vedere in cammino il proprio figlio ammanettato tra i carabinieri.

     FRANCESCO - La povera madre! Ma parliamo d'altro. Ieri andasti in casa del Direttore. Beato te.

     CARLO - Sì. Vi fui chiamato per l'esame di alcune pitture, di cui, come tu sai, me ne intendo un po'. Ma vi vidi, ciò che allietò il mio spirito, un altro quadro, ma vivente, di perfetta fattura: la figliuola del Direttore. Ci scambiammo, miracolo della giovinezza, uno sguardo di simpatia, vera luce nell'oscurità della notte.


     FRANCESCO - Roseo intermezzo, non immune di pericoli.

     CARLO - Nessun pericolo, dato il massiccio muro che ci separa.

     (S'ode in questo momento suonare, appunto in quella abitazione, il "Sogno" di Schumann).

     E' lei, la cara fanciulla, che manda noi derelitti, con quella musica, un po' di conforto.

     FRANCESCO - No, no. Quella musica, che mi strazia l'anima, fa sentire più ferocemente la sventurata nostra condizione. Sarebbe più conveniente, per il nostro stordimento, le sperdute, rocciose isole, scosse da urli infernali, flagellate dalle onde del mare in tempesta.

     CARLO - E' vero. Anch'io mi sento, dalla divina musica di quel "Sogno", straziare. Ma ecco che viene Paolo a risollevare, con le sue facezie, il nostro spirito.


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Umberto