Umberto Adamoli
LA VOCE DELLE CARCERI
(Atto unico)


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     SCENA SECONDA

     FRANCESCO - Oh! Paolo. Vieni, vieni, con il tuo buon umore, a portare un po' di sereno nel nostro cielo nero.

     PAOLO - (detenuto sui trentacinque anni, che è di malumore). Non è la mia giornata. Anch'io oggi sono nero.

     CARLO - Ma che cosa ti è accaduto...

     PAOLO - Che il diavolo se li porti tutti all'inferno, questi angeli maledetti.

     FRANCESCO - Calma, calma. Ma di che cosa si tratta.

     PAOLO - Sono stato tolto dal laboratorio. Sì, dal laboratorio, dove con il lavoro alleviavo il tedio dell'ozio, la pena della clausura e, con quel po' che guadagnavo, soccorrevo in qualche modo la famiglia. Poveri miei figli! Sventurati anch'essi: senza padre, per lungo tempo, e senza pane.

     FRANCESCO - Non lieto il caso, ma ne avrai fatto una delle tue.


     PAOLO - Ma che! E' la cattiva stella che mi perseguita, ovunque, senza pietà. Ne sono una vittima.

     CARLO - Ne siamo un po' tutti vittime. Nessuno certo verrebbe a rinchiudersi qui volontariamente. E' tanto bella la libertà.

     FRANCESCO - La libertà! Bella come la donna che esce, con la giovinezza, fresca, dalle onde azzurre del mare. Bella come l'aria che, in un mattino di primavera, agita tenuamente i fiori. Bella come l'aurora vermiglia, che annunzia, musicalmente, il giorno.

     CARLO - Bella come la vita serena. Soltanto ora, che siamo qui rinchiusi, lo comprendiamo.

     PAOLO - E questa mattina l'ho compreso più che mai. Dall'inferriata della cella, turbato come ero, ammiravo, con insolita melanconia, la strada sottostante, l'ampia vallata, le colline, la campagna imbiancata dal sole. Quanti cari ricordi della vita libera. E tutto quanto vedevo m'inteneriva, riafferrava la mia anima, il mio cuore, non senza produrre in me, col rimpianto, sensi di strana invidia.


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Umberto