Umberto Adamoli
LA VOCE DELLE CARCERI
(Atto unico)


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     CARLO - Invidia?

     PAOLO - Sì e invidiavo, nella loro vita libera, gli uccelli, che volavano di frasca in frasca, di albero in albero; lo spazzino, che lavorava sulla strada, faticosamente; la lavandaia che univa il suo canto al canto del fiume, che le dava l'acqua; il contadino sferzato, nella campagna, dai raggio infuocati del sole. Invidiavo financo i matti, nel loro lavoro, nel sottostante orto agrario. Anche il pezzente invidiavo, nella sua vita libera.

     FRANCESCO - E così, senza volerlo, abbiamo fatto un po' di poesia. Ma torniamo al tuo infortunio. Non posso credere che tu non abbia fatto proprio niente. E' nostra abitudine, e dobbiamo riconoscerlo, di dichiararci sempre innocenti.

     PAOLO - Sì, qualche cosa ho fatto, ma roba da nulla.

     FRANCESCO - E sarebbe?


     PAOLO - Un litigio un po' chiassoso con un compagno di lavoro; una risposta un po' vivace a uno di questi nostri benemeriti custodi...

     FRANCESCO - E ti par poco...

     PAOLO - Non è certo un delitto. Poi, poi questi signori che ci seguono come ombre; che ci custodiscono come gioielli, mi potevano perdonare.

     CARLO - Chi sa quante volte ti avranno perdonato. Debbono fare, d'altra parte, il loro dovere.

     PAOLO - Fare il loro dovere... In tanti modi si può fare questo dovere, anche con un trattamento più umano.

     FRANCESCO - Quale trattamento migliore vorresti che facessero a noi, criminali in espiazione di pena?

     PAOLO - Criminali! Grossa la parola senza sapere che noi, con la nostra criminalità, esercitiamo una funzione sociale.

     CARLO - (che scoppia a ridere) Noi.. Una... Funzione... Sociale...


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Umberto