FRANCESCO - Vita nuova, adunque.
MICHELE - Vita nuova e piena di promesse.
CARLO - La più bella promessa sarebbe la concessione di una generale amnistia.
MICHELE - Ma non potendo avere l'amnistia accontentiamoci di quanto concorre ad attenuare le nostre pene.
(S'ode a questo punto chiamare da un agente).
AGENTE - Michele Cataldo. Michele Cataldo.
(appare da un lato e poiché non ha avuto risposta, rivolto al Cataldo, un po' irritato). Siete sordo?
MICHELE - (prendendo un atteggiamento premuroso) Comandate...
AGENTE - Andiamo. Vi aspettano in parlatorio.
MICHELE - (andandosene) Ah! E' mia madre.
FRANCESCO - Povero ragazzo anche lui.
CARLO - Io direi: povera madre anche lei. Quante cose brutte si eviterebbero se la madre fosse sempre presente ai nostri atti.
(Al ricordo della madre i due si commuovono sino alle lagrime).
FRANCESCO - Dobbiamo andare. E' quasi ora di rientrare in cella.
CARLO - (guardando da un lato) Viene il venerando veterano. Rimaniamo un po' con lui.
(Poco dopo appare da un lato altro detenuto, avanti negli anni, con barba e capelli bianchi: Giovanni).
SCENA QUARTA
GIOVANNI - (quando giunge vicino) Sono qui per attingere da voi un po' di forza. E' sempre caro avvicinarsi alla giovinezza.
FRANCESCO - E per raccontarci, nonno, qualche altro episodio del vostro passato, non è vero?
GIOVANNI - (con mestizia, dopo di essersi seduto) Nonno! Dolce è il nome che racchiude tutto un mondo di poesia e di cari ricordi, ma non per me. Vidi il nonno l'ultima volta alla Corte di Assise, dopo la mia condanna. Mi ebbe a fissare, quando lasciavo l'aula ammanettato, con uno sguardo di così penetrante significazione, che mai dimenticherò. Come mai dimenticherò la maledizione lanciata contro di me, in quello stesso momento, da una madre vestita di nero, orbata del suo unico figlio: maledizione che ho sentita sempre pesare, fortemente, sulla mia vita.
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