Si pubblicano alcuni documenti sottoscritti da Umberto Adamoli che si riferiscono al periodo che seguì la liberazione di Teramo dall'occupazione tedesca, avvenuta nell'aprile 1944. Umberto Adamoli fu podestà della città teramana dal 1939, e con la caduta del regime fascista il governo Badoglio lo confermò nella carica, che conservò fino al termine dell'occupazione nazista.
Con l'insediamento a Teramo del comando militare alleato egli venne tratto in arresto; da quanto emerge nelle memorie che egli produsse in occasione del successivo procedimento di epurazione, Umberto dichiarò che la sua "condizione, anche dal punta di vista politico, era stata attentamente esaminata e definita molto favorevolmente dalla rigorosa polizia degli alleati. In tale occasione, il Comitato di Liberazione concordemente si pronunziava a mio favore; anzi chi mi ebbe per il primo a difendere, a viso aperto ed onestamente, fu proprio un comunista, (...) il Signor Antonio Tosti".
Nel corso del 1946 la posizione di Umberto venne esaminata dalla 'Commissione provinciale per le sanzioni a carico dei fascisti politicamente pericolosi'. Non essendo ancora possibile consultare, a 62 anni dagli avvenimenti, gli incartamenti relativi a tali procedimenti, e ignorando l'esito delle stesse, ci si limita a presentare queste memorie difensive, nelle quali il podestà di Teramo espose le ragioni della sua condotta e rievocò sommariamente alcuni dei fatti più notevoli riguardanti la città durante l'occupazione nazista. Questi temi vennero da lui ampiamente ripresi nella stesura del suo libro 'Nel turbinio d'una tempesta'.
Merita un'attenzione particolare l'episodio nel quale egli avrebbe offerto la propria vita ai tedeschi che meditavano eventuali rappresaglie nei confronti dei cittadini teramani dopo gli scontri tra partigiani e tedeschi sul Bosco Martese (25 settembre 1943), il fatto d'arme più notevole della Resistenza in Abruzzo insieme alla rivolta di Lanciano. L'episodio descritto da Umberto nella citata pubblicazione venne decisamente contestato nella sua veridicità da Riccardo Cerulli (in 'La Resistenza a Teramo') con argomentazioni che da Costantino Felice (in 'Guerra resistenza dopoguerra in Abruzzo') vennero definite solide. Secondo il Cerulli, per la mancata rappresaglia dopo gli scontri al Bosco Martese "par che si debba esser grati al Generale Austriaco Von Zanthier, giunto a Teramo la sera del 25 settembre".
Il giudizio di Riccardo Cerulli riguardo la descrizione degli eventi di Bosco Martese fatta dal Podestà Adamoli è molto severo, in quanto la rievocazione viene da egli definita "inesatta e tendenziosa". Cerulli ritiene che il libro di Umberto Adamoli "è tutto d'aspra polemica, nei riguardi del Movimento dei ribelli e del reggimento democratico". Per quanto il giudizio politico del Cerulli sia condivisibile, in merito alla "assoluta incapacità dell'Adamoli ad intendere il significato della Resistenza in genere e dell'episodio di Bosco Martese", si può dissentire dalle sue opinioni riguardo l'episodio nel quale il podestà avrebbe offerto la propria vita in cambio della lista dei cento teramani da fucilare richiesta dai tedeschi. Riccardo Cerulli desume una serie di argomentazioni che smentirebbero le stesse affermazioni dell'Adamoli, ritenendo che la ricostruzione sia stata alterata, soprattutto riguardo i tempi di svolgimento dei fatti di Bosco Martese, operando una "menzogna in funzione dei magnificati nobili atti dell'autore e del predetto suo gesto sublime". Il Cerulli conclude le sue argomentazioni sostenendo che "l'Adamoli non ha dunque diritto alla gloria che si è attribuito ed in cui si è adagiato per lustri, di salvatore della patria".
In una polemica del 1957 tra il Cerulli e Pio Costantini (autore dello scritto 'La Resistenza a Chieti', pubblicato sulla Rivista Fiorentina 'Il Ponte' nel marzo 1957), quest'ultimo ebbe invece a replicare al Cerulli che "l'Adamoli, anche se nel 1943 era podestà, è da credere se è vero che offerse la propria vita in cambio delle gravi sanzioni che i Tedeschi volevano applicare su innocenti ostaggi teramani, cento contro uno".
Questo presunto episodio nelle memorie viene puntualmente citato. In una di queste (senza data), la più circostanziata, viene riferito che dopo i fatti di Bosco Martese, nei quali venne ucciso dai partigiani un ufficiale medico tedesco, si presentarono nel suo ufficio tre ufficiali che gli imponevano di invitare allo scioglimento le bande della montagna entro settanta ore, al termine del quale periodo la città sarebbe stata bombardata. A questa richiesta veniva aggiunta sia quella di "presentare la lista di cento cittadini, delle migliori famiglie, da fucilare, per vendicare la morte [del] loro ufficiale medico (il maggiore Hartmann), ucciso dai ribelli del Bosco Martese", sia quella di "pubblicare un manifesto per avvertire la città che per ogni soldato tedesco ucciso nel territorio del comune, dovevano rispondere con la vita, cento cittadini". A queste richieste egli si rifiutò di aderire ed offrì in cambio la propria vita.
Nella memoria presentata al comando militare alleato nel luglio 1944 l'episodio non viene espressamente riferito ai fatti di Bosco Martese, che non vengono citati, ma semplicemente lo è rispetto alla richiesta di affiggere i manifesti in cui si comminava la fucilazione dei cento cittadini per l'aggressione ad un solo soldato tedesco.
In un'altra memoria presentata alla commissione per le sanzioni a carico dei fascisti politicamente pericolosi nel febbraio 1946 viene invece nuovamente esposta la versione di Bosco Martese.
Occorre anche sottolineare che nella sua pubblicazione 'Nel turbinio d'una tempesta' (edito nel 1947 ad appena quattro anni dai fatti, nel quale l'episodio ascritto ai fatti di Bosco Martese viene ampiamente trattato) la decisione, "la più facile, la più semplice, la più conveniente", di offrirsi ai tedeschi alla richiesta "pazzesca" di fornire la lista dei cento cittadini da fucilare, matura dopo tre ore di animata discussione col maggiore ed i due tenenti tedeschi, e viene riferita al Prefetto ed al fido Gino Di Francesco (1).
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