Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Ma altre domande, altre considerazioni, con altra ansia si facevano, su quegli eventi, nel silenzio d'una stanza.
     "Era mai possibile" pensava la buona Cinzia "che Giulio, che aveva parlato sotto la sua finestra, nella notte di luna, con il pił fiorito dei linguaggi, fosse un bandito?" Non poteva essere. Il pericolo aveva forse accomunati, per una pił valida difesa, banditi e non banditi. E se non fosse stato cosģ? Vedeva cadere in questo dubbio i sogni sognati nelle preghiere della sera, nel risveglio fresco del mattino. Ma quel Giulio non era stato lui a liberarla dagli artigli dei corsari? A quell'ora, senza il suo intervento, viaggerebbe su una di quelle navi maledette, esposta a tutte le violenze, venduta poi come bestia su i nefandi mercati orientali. Non poteva dunque non portare anche lei, al salvatore, il suo ringraziamento. Dopo una fervida preghiera alla Madonna, sua divina inspiratrice, anche lei andava.

     Il sole, nella calda giornata di luglio, superava la metą del corso, piegava verso la montagna dei Fiori. Poca gente s'incontrava nelle strade, sfiorate appena da un piacevole venticello. Qualche cane randagio, trotterellando, attraversava la breve piazza. Qualche vecchierello, stanco di questuare, molestato da innumerevoli mosche, riposava all'ombra di qualche casa. Ronzii d'api s'udivano qua e lą, e pigolii di passeri, padroni dei tetti.
     Cinzia, giunta tra quelle scenette nella casa dei Rossi, ove il Montecchi vi era amorevolmente curato, vi entrava. Dopo un po' si trovava sola con Giulio, che sedeva, con il braccio fasciato, nelle vicinanze d'una finestra, che guardava sul giardino.


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Umberto