Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Tutto in quel momento, sotto la diffusa luce del sole, taceva. Gli alberi non muovevano foglie; tacevano gli insetti canterini; si diffondeva la musica, che pareva che uscisse dal mistero dell'ignoto.
     Momento solenne, che rifletteva la divinitą.
     Quando caduto il telo gli sguardi si volsero alla marmorea colonna, vi videro incisi, a caratteri d'oro, molti nomi, con la dedica:

     - AI BANDITI DEL MARTESE - EROI DI CITELUT -
     In mezzo era inciso, con caratteri pił grandi, il nome del capitano GIULIO MONTECCHI.



     Mentre sulla vetta di Santo Stefano avveniva la solenne celebrazione, un funereo corteo percorreva, con flebile salmodia, le vie di Campli.
     Andava a deporre nella tomba dell'eternitą la soave Cinzia.
     Non aveva avuto la forza, la fata benefica, la figlia della poesia, la eroina di Poggio Umbricchio, di sopravvivere al suo eccezionale amatore.

     Dopo un anno di lamenti, d'angoscioso pianto, di vana attesa, non sapendo pił che cosa fare su questa valle d'inganni, mestamente se ne era andata.
     Se ne era andata in quel momento, per correre, forse, ad assistere in ispirito, sul luminoso monte, alla glorificazione del suo Giulio.
     E calava sul dramma d'odio e d'amore, di cattiveria e di bontą, di negazioni basse e di affermazioni sublimi, melanconicamente, il sipario dei fugaci eventi umani.

     F I N E



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Umberto