Ancora una volta Venezia non era stata delusa nella fiducia riposta in questi forti soldati, nati per il combattimento. Non ponevano limiti alla loro bravura. Assalivano, azzannavano, abbattevano, erano abbattuti, ma non cedevano.
Lotta di titani pareva la loro, non di uomini, combattendo i turchi con uguale valore.
Ma i nostri eroi, sostenuti da una divina forza, vincevano, concorrendo efficacemente a salvare Venezia. E la Serenissima, nella commossa gratitudine, disponeva di consacrare le loro gesta e i nomi degli eroi in questo marmo di vita e di luce, per oggi e per i secoli.
"Molti sono qui presenti di persona", aggiungeva l'inviato. "Altri, i più, in ispirito. Non titubarono un sol momento a sacrificare la loro giovinezza a Venezia, che essi consideravano, con concetto altamente italiano, come la loro stessa patria. Non appartenevano alla solita milizia mercenaria che operava con torvo spirito di rapina, ma a soldati italiani, che con piena consapevolezza combattevano per una giusta causa italiana.
Noi ci siamo sempre commossi all'esaltazione degli eroi, creati spesso, in ogni tempo, dalla fantasia dei poeti. Le gesta compiute da questi soldati nella realtà dei fatti, e noi ne siamo testimoni, non soltanto ci commuovono, ma ci costringono a inginocchiarci dinanzi a questo marmo, che supererà, col suo splendore, la fatalità dei secoli."
Tali parole scendevano come un'armonia celeste, nel profondo della divina anima, racchiusa nell'umana materia.
Dopo, l'inviato di Venezia, avvicinatosi alla colonna, faceva cadere il telo che l'avvolgeva, e la baciava.
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