Concluse la pubblica discussione, il Torrejon, licenziati i malfidi cittadini, rimase con le sole autorità, alle quali espose il suo piano contro la montagna.
Non poteva però la sera, mentre godeva gli agi d'una ricca dimore, non ripensare alla tracotanza di quel tale de Adamnis, amico certo dei banditi, che avrebbe dovuto fare senz'altro arrestare.
Non capiva inoltre come in un così vasto campo di morti vi potessero essere ancora segni di vita. Fuochi fatui, senza dubbio, destinati a spegnersi non appena sprigionati dall'umida terra. L'Italia, terra classica di poltroneria, poteva essere brava a produrre cantastorie per le piazze; giullari per le corti; banditi per le grassazioni, ma non soldati per le patrie rivendicazioni.
Il generoso de Adamnis, dopo la legittima sfuriata, tornò alla casa solitaria, dove era atteso con ansia e preghiera.
Una sera che era rientrato più tardi, nel buio più fitto, la buona compagna non poté non manifestare il suo stato agitato. Ne seguì una discussione accorata, ma pacata. L'uomo, come egli affermava, si trova spesso a lottare con quei doveri che potevano avere, di volta in volta, per particolari ragioni, il sopravvento gli uni sugli altri: doveri di patria, di religione, di famiglia, senza possibilità di scelta.
E il discorso continuò, ansioso e tenero, sino a quando su di loro non scese, nel riposo del letto, il sonno.
Nei giorni seguenti la città vide giungere truppe, con grossi numerosi cannoni, per la nuova battaglia. Ma anche nell'altro campo non si dormiva. Come primo atto i capi condussero le proprie famiglie, per maggiore sicurezza, a Poggio Umbricchio, vero nido di aquile, su rocca inespugnabile, ove riempivano le ore d'ozio e di fastidio con passeggiate, con letture e col racconto di leggende, molte delle quali si riferivano alla vallata del Vomano.
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