Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     CAPITOLO SESTO

     Altre truppe spagnuole intanto erano giunte, alle quali Teramo, la città frivola, come la chiamavano, aveva tributato festose accoglienze.
     Grave decadenza italiana.
     Nella riunione di Rocca Santa Maria, ai compagni di lotta, Santuccio aveva detto:
     "Abbiamo ripreso le armi, amici, e non dovranno essere deposte se non quando le nostre mete non siano state raggiunte. Non possiamo sempre vivere alla macchia, da banditi; né possiamo tornare, nelle attuali pietose condizioni, sotto l'impero di assurde leggi. Vogliamo rientrare nella società, si, ma dopo di aver creata, in mancanza di quella italiana, come era nel sogno del bisnonno di Marco Sciarra, la repubblica aprutina.
     Se la minuscola Senarica, la 'Serenissima sorella' di Venezia, riuscì per il suo valore, per il proprio territorio, a tanto, perché non dovremmo riuscirci noi? Ferrea volontà, unione d'intenti, perfetta concordia e il cielo sarà con noi."

     "Sarà con noi" replicò il Montecchi "se saremo uniti. Hai illuminato di viva luce la nostra via e il nostro avvenire. Dobbiamo impegnare tutte le nostre forze per dare alla nostra vita uno scopo, alle nostre donne uno stato felice, ai nostri figli uno stato onorato."
     "Ma non ho detto tutto" aggiunse il Lucidi. "Non ho detto che a mezzo del doge di Senarica, appunto, mi sono rivolto per aiuti al doge di Venezia. La Serenissima, anche a ricordo delle prestazioni militari del bisnonno, ha fatto le sue promesse.
     Dopo, con le nostre bande, andremo a difenderla dai nemici, che la minacciano da ogni parte."


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Umberto