Una sera Cinzia, turbata, disse a Giulio:
"Dimmi che non mi lascerai. Dimentica una buona volta la montagna maledetta, che tanto ti tormenta. Se gli altri, sospinti come tu dici dal fato, vi sono tornati, dimostra tu di essere più forte di essi, più forte del fato. Resta vicino alla tua donna e ai tuoi figli e in questa casa in cui, in una notte di luna, portasti il canto d'amore."
"Tu sei buona, Cinzia. Il cielo doveva riservarti sorte più benigna. Non lo nascondo: la più aspra lotta si combatte in me, in questi giorni. Una forza diabolica scuote la mia volontà e le parole dello stregone di Nepezzano risuonano vive nel mio spirito. Vi dovranno essere dunque nella nostra vita vicende tali da far ricordare le strane parole? Lotterò a ogni modo per la nostra pace."
Per quel giorno gli affanni si calmarono, non le preoccupazioni.
Cadeva nel maggio larga benefica pioggia quando a notte inoltrata fu bussato a una delle porte secondarie della casa di Giulio. Allorché aprì, si trovò dinanzi Santuccio, che egli accolse con festa, pur presentendo, per il tempo e l'ora, non buone notizie. E le notizie non erano buone. Napoli e Roma, scosse dagli ultimi eventi, s'erano messe d'accordo per estirpare i fuorilegge, ovunque si trovassero. Verso l'Abruzzo, secondo quanto avevano riferito sicuri informatori, marciavano, con numerosa artiglieria, truppe scelte e briganti calabresi indultati. Anche le loro bande, che non inspiravano più fiducia, erano in pericolo. Bisognava, quindi, per sottrarsi in tempo a sorprese, tornare subito alla montagna. Era un'altra piccola bufera da affrontare serenamente e superare.
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