GIANGIROLAMO
(riprende a parlare in un'aria di maggiore cupa agitazione)
E' la verità, e di tenebre, dopo tanta luce, è stata avvolta la mia povera vita. E ora, amici, cammino, giro, penetro nei boschi, salgo sui monti, elevo al cielo i miei lamenti, senza trovare più pace.
(qualche lagrima, che si asciuga, solca il suo viso)
Perdonate!
CONTESSA
(con pietosa voce)
Sapevamo la vostra sventura, ma temevamo di parlarvene.
GIANGIROLAMO
Anch'io, in una vana illusione, temo di parlarne a me stesso. La vita, come si vede, pur con qualche squarcio di sereno, finisce con l'essere travolta dalla tempesta. Lasciate, quindi, senza rimproveri e senza pene, che i nostri figli seguano quella vocazione che solo potrà dar loro la vera pace.
Se fossi più giovane vorrei anch'io andare ad attendere il tramonto nel religioso silenzio di un convento.
CONTE
Potete aver ragione. Ma oltre a quelli del chiostro altri doveri, per la sua continuità, impone la vita. Se Berardo, ad esempio, mettesse in atto il suo disegno, verrebbe a un tratto a distruggere le ansie, le conquiste, la gloriosa operosità degli avi.
(S'ode un canto in coro, lento, patetico, che a mano a mano s'avvicina. Rimangono in ascolto. Il conte, che s'avvicina alla finestra per guardare, scuotendo la testa, riprende a parlare. Il canto per un po' cessa)
CONTE
Altro fanatismo, altri fanatici. Ogni età ha le sue bizzarrie. Noi abbiamo quelle dei crociati. Vanno, vanno, lenti e oscuri come il destino. Vanno e cantano per confortare le ansie, le sofferenze, il peso del loro cammino. Molti, nel religioso ardore, nella disciplinata compattezza, si faranno onore; altri finiranno come ebbero a finire le cenciose turbe di esaltati che compromisero la nobile impresa di Pier l'Eremita.
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