TINO - Allora torniamo a parlare della tua guerra.
ERIO - Nella quale cercai di fare nel miglior modo il mio dovere. Dopo tornai, con molte cicatrici, alla comune vita. Oggi, dopo tanti anni, come un bisogno spirituale, sono tornato dove più vivo furono i sogni della mia primavera.
GIUSEPPINA - Dove, per tornare alle cose belle, anche se meste, una tenera sognatrice, avvolta dalle prime fiammate, si era perdutamente innamorata di lei.
ERIO - Anita, non è vero?
GIUSEPPINA - Si, Anita. Giacché il nostro discorso è vario, le debbo dire che l'incontro con lei le fu fatale. Non volle tornare più in collegio e dopo la sua partenza si chiuse in tristezza. Rifiutava, nella sua solitudine, ogni compagnia, ogni proposta di matrimonio. Faceva pena. Spesso fu vista, in mesto raccoglimento, in sulla sera, seduta in quei luoghi dei loro lirici, innocenti convegni.
ERIO - Ma la vita, cara Giuseppina, doveva seguire il suo inesorabile corso. Certo, alcuni incontri, che si accendono poi di così forti passioni, non dovrebbero avvenire. Il suo amore, manifestatomi con calda ansia, mi ebbe ad intenerire ed in questa tenerezza, prima di lasciare il lago, compii un atto, nei suoi riguardi, di religiosa affettuosità.
TINO - (allontanandosi per un momento) Parlate, parlate. Torno subito.
GIUSEPPINA - In che modo? Me lo dica.
ERIO - In un modo semplice anche se un po' romantico. Da Porlezza, prima di partire per altra sede, venni ad Oria. Vi giunsi quando l'orologio di Albogasio suonava mezzanotte. Nella piazzetta della chiesa, dei tanti ricordi, sostai, commosso. La villa di Fogazzaro avvolta di verde, giaceva nel silenzio. La luna, nella mite notte di maggio, illuminava ogni cosa, vicina e lontana, morbidamente. Le acque del lago, appena mosse, s'infrangevano, come un lamento, sulla ghiaia, tra le barche a riposo. La cascata di Rescia, in tanta calma, risuonava in me, con il suo scroscio, come un pianto. Venni poi avanti, nel breve portico, nell'ombra delle case, che si proiettava sulla strada, fermandomi sotto la finestra di Anita. Mentre con un tacito madrigale saliva a lei, nel sonno, mi parve di vedere muovere le imposte della sua stanzetta. Illusione. Nessuna finestra s'aprì, nella notte di luna, all'afflitto trovadore.
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