Mentre le armate latine, liberata la Lombardia, avanzavano verso il Mincio, Giuseppe Adamoli, il credente sincero, il profugo di Narro, il cospiratore dell'Aquila, l'iniziatore a Teramo di una fiorente industria, il marito e il cittadino dalle non comuni virtù, saliva a dormire l'eterno sonno, lassù, nella piccola silenziosa chiesa di Rocciano.
Saliva lassù, al bianco villaggio, attraverso i valloncelli, nei cui cespugli di biancospino cantavano gli usignuoli. Saliva per la collina coperta di ginestre e di ulivi, accompagnato dal piano del popolo, dalla pietà, dall'affetto, dal dolore degli amici e dei parenti.
Per qualche giorno la vallata del Tordino, con l'arresto dei magli, ricadeva nel silenzio. Poi tornavano i rumori, la vita, le speranze.
LA FIEREZZA DI UNA MADRE
Mentre l'Italia, con la forza del diritto e delle armi, correva verso la nuova gloriosa sua storia, all'Aquila, presso la famiglia Strina, presieduto dal buon padre Emidio, sempre presente nelle sventure, si adunava una specie di consiglio, per esaminare e per provvedere sul luttuoso caso di Teramo. Le determinazioni che ne seguivano, suggerite, certo, dal buon religioso, risultavano umanamente fraterne, ma non erano accettate dalla dolorante fiera madre. Ognuno, presa la sua via, la doveva percorrere in armonia dei decreti del proprio destino. Non si sarebbe, ad ogni modo, mai allontanata, qualunque gli eventi, dal luogo, nel quale il suo nobile compagno dormiva il suo eterno sonno.
Anche i figli sarebbero rimasti presso di sé, nella propria casa, nella loro libertà. Cedeva soltanto per la piccola Maria Cristina, che il fratello Cappuccino collocava ad Aquila, in uno istituto, retto da Suore.
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