LIBRO PRIMO
Nella primavera del 1843 giungeva ad Aquila, dai monti del comasco, un giovane su i ventitré anni (ne aveva invece 33 poiché era nato nel 1810, n.d.c.), Giuseppe Adamoli, alto, snello, bruno, dall'aspetto nobile, dai tratti gentili. Raramente compariva nelle vie, nei ritrovi cittadini. Non usciva generalmente dalla casa che per recarsi verso la campagna, per ammirarvi le acque, le valli, i monti, che gli ricordavano le acque, le valli, i monti della sua forte provincia. Molto camminava, ma faceva anche, qua e là, sui poggi, ai margini dei boschi, sulle rive del piccolo lago di Vitoio, lunghe soste. Doveva correre, forse, col pensiero afflitto, in quel raccoglimento, ai suoi monti, alla storica Valsassina, alla sua Narro, che, quale cospiratore e perseguitato politico, per sfuggire all'arresto, da parte della brutale polizia austriaca, aveva dovuto, con tutta fretta, lasciare. E doveva pensare alla famiglia, alla mamma, agli altri fratelli, viventi pure essi in esilio, e agli altri compagni di congiura, sventuratamente catturati, alle sciagure della patria schiava, smembrata, torturata di suoi sette tiranni.
Quella vita, tinta di romanticismo, ma priva di operosità, con i fermenti patriottici che gli riscaldavano l'animo, non lo soddisfaceva. Talvolta lo pungeva il rimorso per l'allontanamento da quella lotta, nella quale, nonostante il lugubre minaccioso capestro, erano serenamente rimasti i suoi compagni. Si sentiva umiliato, avvilito, senza una propria personalità, solo nella vita solitaria. Era tenuto, inoltre, in sospetto dalla polizia borbonica, che lo pedinava.
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