Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Molti torti, forse, noi abbiamo, ma anche altri hanno molti torti, e molti errori sono stati commessi. Se altro fosse stato il consiglio dei reggitori, noi oggi saremmo molto vicini alla pacificazione. Molti banditi, con il promesso indulto, erano tornati, offrendo, per estirpare il veri malviventi, la loro collaborazione. E facevano sul serio, poiché consegnavano, con molte altre, la testa del tanto temuto Carnessale. In contraccambio si tramava ai loro danni, tanto da dover riguadagnare, per salvarsi, la montagna.
     Si proibiva a tutti di portare le armi. Stolta disposizione, che favoriva soltanto i banditi, non potendo più i pacifici cittadini difendersi dalle loro aggressioni. Stolto anche l'altro espediente di creare dinanzi ad essi il deserto. L'abbandono delle terre, la demolizione delle case, poteva accrescere la miseria, non indurre quelli della montagna alla resa.

     I contadini, rimasti senza lavoro e senza dimora, premono oggi, con i loro bisogni, sulla città, e il Vescovo è fuori della grazia di Dio, per le dieci case rurali demolite nella sua baronia di Rocca Santa Maria.
     Nessun aiuto giunge da parte della pubblica forza. Le truppe arrivano, non per operare, ma per creare, con la loro voracità, nuovo disagio, nuova miseria.
     Poi balzelli su balzelli. La Spagna ci fa gravemente sentire il peso del suo dominio. A voi, che ne siete al servizio, ma che siete italiano, possiamo non nascondere il nostro pensiero. Non è forse la Spagna, con il suo malgoverno, la causa non ultima del banditismo? Ad essa, a ogni modo, ai suoi sistemi, alle sue cattive leggi, alla sua rapacità si deve l'origine della nostra decadenza. Con l'agricoltura, con il commercio, si vanno pure spegnendo, senza rimedio, i lanifici, le fabbriche di panno, che costituivano nel passato il nostro vanto, la nostra ricchezza.


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Umberto