Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Dopo una breve pausa, come per raccogliersi accorato, su quella dolorosa visione di sangue:
     "Io non sono venuto qui per seminare nuova zizzania, per accendere nuovo odio. Vorrei, e lo dico con tutta sincerità, che i fuoriusciti rientrassero, per il comune bene, nell'ordine delle leggi. Si faranno, anche se inutili, nuovi tentativi, per la pacificazione. Non dobbiamo però cancellare dal nostro ricordo il sangue innocente che bagna ancora le macerie della casa di Savino Savini. Non dobbiamo chiudere le orecchie e il cuore alle voci e ai lamenti che giungono a noi da quelle macerie.
     Il saccheggio poi di tutti i prodotti non incoraggia più ai lavori della terra. Danno a danno, quindi, miseria a miseria. E vivo è il timore che possa tornare a infierire la peste, che tante vittime fece in ogni parte d'Italia.

     Duole, inoltre, sapere che molti cittadini, non esclusi religiosi, aiutano i banditi nelle loro gesta criminose.
     Ecco il quadro nella cruda realtà. E' necessario, di conseguenza rinnovare e rinnovarsi. Con i mezzi e i poteri a me conferiti e con il vostro aiuto, spero di sradicare da questa vostra terra l'erbaccia che la infesta e di far rifiorire in tutta la contrada, bella nei suoi monti, nel suo mare, nelle sue campagne, ricca di nobili tradizioni, il fecondo lavoro.
     Non è vero, miei amici?"
     "E' vero!" Rispondeva un tal Giancarlo de Adamnis. "La vostra parola, Vicario, viva e appassionata, ha risollevato il nostro spirito depresso. Mi sia consentito di rispondere con la stessa franchezza, con la quale voi avete parlato.


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Umberto