Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Il Vicario non la pensava diversamente, ma, per necessità, doveva osservare e tacere.



     Dopo qualche giorno egli giudicava opportuno, come inizio della sua missione, di riunire, con le autorità, i migliori cittadini. Dopo il saluto d'uso e le cortesi espressioni, continuava:
     "I fatti che, dopo la scomparsa del grande re Filippo, si ripetono ovunque, hanno indotto il Vicerè a mandare anche in questa provincia, nella mia persona, il suo Vicario. Noi siamo prigionieri dei banditi, che sono risorti, dopo il breve silenzio, più violenti di prima. Minacciano ovunque le nostre istituzioni, le nostre famiglie, il nostro onore, la stessa nostra vita. Non hanno più scrupoli, né limiti nelle loro azioni. A Napoli si viveva nella lusinga d'aver sanata, con l'indulto e con l'oro, questa parte infetta del Vicereame. Vana lusinga. Il governo è rimasto assai impressionato dagli ultimi avvenimenti.

     Tempo fa, e voi lo sapete, il Vicerè mandò, per una più energica repressione, molta truppa, che fu ovunque sgominata. E' proprio di questi giorni la beffa di Pianella. Mentre da per tutto s'ergevano baluardi, per chiudere alla montagna le vie della pianura, ben cento banditi, in giorno di fiera, si presentarono a saccheggiare quel paese.
     Non parlo dell'altro terribile episodio, di cui voi siete stati testimoni. Poteva Savino Savini, nei loro confronti, avere dei torti, ma ciò non li doveva indurre, se avevano ancora un palpito di umanità, a compiere il nefasto atto da essi compiuto.
     Voi piangeste, mi è stato detto, sulle macerie della casa frantumata da una potente mina sul corpo sanguinante della giovane sposa e sulle due bambine, schiacciate anch'esse dalle pesanti macerie..."


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Umberto