Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Dopo anche i banditi ripresero, melanconicamente, la vita della montagna.



     CAPITOLO QUARTO

     I soldati di Spagna, dopo il lungo riposo, punti dai frizzi, che non mancavano, si mossero finalmente al comando del maestro di campo, Michele Almeida. La boria era maggiore della fiducia in sé, della propria forza, del proprio valore. Andarono su per i colli, verso Torricella, con la vigoria, che mai manca nella freschezza del mattino.
     Di tappa in tappa, tra un canto e l'altro, giunsero a Paranesi, che trovarono deserta. Vi pernottarono. Al mattino seguente ripresero la marcia, con nuovo vigore, verso Valle Castellana.
     La strada diveniva sempre più angusta, frastagliata, scabrosa. Capivano che l'impresa non era così facile, come era loro apparsa mentre gozzovigliavano in città. Qualche volpe tra la boscaglia, qualche uccellaccio sulle rupe e non vedevano altro. Con l'avanzare, le difficoltà aumentavano, le forze diminuivano. Di banditi neppure l'ombra. Dovevano essere fuggiti al solo loro apparire. Già questo poteva costituire una vittoria, senza esporsi a pericoli, da sapersi abilmente sfruttare nel rientrare a Teramo.

     Poiché il sole era già alto, il comandante ordinò, nel ginepraio di sterpi e di cespugli, in cui s'erano cacciati, una sosta per il riposo e per il rifocillamento. Erano sicuri e se ne stavano tranquilli.
     La più alta pace regnava nella vallata. Il silenzio era rotto, di tanto in tanto, dal fruscio degli alberi, mossi da un'improvvisa folata di vento, dal ruzzolare d'un sasso toccato dal passaggio di qualche volpe; dal canto d'un solitario cuculo.


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Umberto