Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     "Voi farneticate, presuntuoso bandito.", replicò il Preside. "Non più tregua, da questo momento, alle nostre azioni, e le più spietate."
     "Vile satellite d'una razza maledetta", ribatté Santuccio. "La forza delle armi vi può ancora dare ragione, ma il vostro destino è segnato, nella forca dei malfattori. Miserabile d'uno sciagurato." E dopo una pioggia di altri improperi uscì, sbattendo violentemente la porta del locale, entro cui avevano parlato.
     Dopo tale episodio, caduta la speranza per un bonario accordo, fu ripresa violenta la lotta. Santuccio e i suoi amici non si facevano ormai più illusioni sul suo esito. Ma mentre nubi oscuri s'addensavano sul loro capo una luce giunse dal fondo dell'Adriatico a confortare lo spirito scosso.
     Il doge di Venezia aveva risposto, per quanto li riguardava, al doge di Senarica. La lettera, prezioso documento storico, tra l'altro diceva:


     Il senato di San Marco ha molto gradito il saluto della Serenissima Sorella ed ha letto attentamente il suo messaggio. Venezia ricorda con gratitudine la fiera terra che nel passato, in un momento di pericolo, mandò generosamente in suo soccorso i lupi delle sue montagne, i quali, dopo avere sconfitto in Croazia i famigerati uscocchi, concorsero a mantenere, con il possesso di Candia, alto l'onore delle armi italiane.
     Bravi soldati. Se tutti operassero come i due militi che voi ogni anno, in onore dei nostri patti e del vostro impegno, qui mandate, i saraceni e altri nemici non avrebbero più tanta tracotanza.
     Noi sappiamo che Roma si mostrava poco grata verso gli altri popoli, dai quali era stata aiutata nelle sue memorabili conquiste. Ma sappiamo pure che un piccolo popolo di codesta terra, insorgendo, la rinsaviva.


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Umberto