Da otto giorni durava la micidiale battaglia, quando fu sospesa, per tacito accordo, per raccogliere i feriti, per seppellire i caduti, già in disfacimento, per trattare la cessazione della lotta.
"Voi, fiero popolo abruzzese" disse al Santuccio il Torrejon, nel convegno, "avete dimostrato di possedere alte virtù civili e militari. Sino a questo momento la vostra ribellione vi può fare anche onore e potete essere anche esaltati dai vostri per la fermezza e il valore. Io guardo a quel poggio con commossa ammirazione. Tra non molto sarà un cumulo di macerie fumanti. Vi sono molte donne, come so, in quella rocca; vi è la vostra donna, vi sono i vostri figli.
Su quel poggio i difensori hanno acceso, senza dubbio, una fiaccola che forse non si spegnerà nei secoli. Lo riconosco francamente. Ma ora basta. Cessate, ché continuando nella lotta che non può avere vittoria, cambiereste in grave colpa la vostra inutile resistenza.
Il mio signore è benevolmente disposto a ridare a voi, con larga amnistia, i vostri diritti di cittadini liberi. Riflettete bene prima di rispondere e pensate che le nostre leggi sono ferree, come ferree erano quelle di Roma. Dinanzi ad una ulteriore sconsigliata resistenza la clemenza si potrebbe mutare in forti azioni. Voi mi intendete."
"Non occorre, Preside, possedere molto acume per comprendere il significato della vostra adulazione, la gravità della vostra minaccia. Né l'una né l'altra può influire sul nostro carattere. Sappiate, a ogni modo, che se i nobili si sono vergognosamente piegati al vostro volere, la detestabile 'canaglia', come vuoi vi compiacete di chiamare il popolo, insorge, invece, e vi combatte. Lasciateci liberi, quindi, tanto più che il vostro malefico dominio, su una parte del mondo, di poco supererà il nostro secolo. Neri nubi già si addensano sul vostro cielo."
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