Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Cosa potevano fare essi, miseri pigmei, dinanzi a un tanto colosso? I pochi stolidi, che ancora sopravvivevano, sarebbero stati frantumati come invisibili insetti, sotto il calcagno ferrato di un gigante. Ma per far presto dovevano pure dare la loro opera. Essi, pratici dei posti, sarebbero dovuti andare avanti, per scovare la preda. Gli altri avrebbero fatto il resto.
     Gli rispondeva, contrariato, Giuseppe Lucenti, dichiarando che non poteva mai pensare, nel discendere dalla montagna, si volesse ad essi affidare un compito così odioso. Non sapeva gli altri cosa ne dicessero. Egli, per conto suo, non desiderava che di essere lasciato in pace.
     "E sarete lasciato libero", replicava il Torrejon. Vi volevo dare un onorifico redditizio posto nelle forze armate del vicereame, non dovendo il buon cittadino starsene alla finestra, mentre gravi eventi si svolgono intorno a lui. Su, non vi perdete in sciocchi scrupoli. Tuffate senza ritegno le mani nello scrigno della felicità. Si dice male dell'oro, ma solo per giuoco di parole e da chi ne è senza. L'oro rischiara la vista, rasserena lo spirito, muta la mestizia in sorriso, il dolore in letizia, la vecchiaia in giovinezza. L'oro, anche con notevoli difetti, innalza, la miseria, anche con grandi virtù, abbassa.

     Ed ora andiamo alla festa."
     Tutti uscirono; non uscì ancora il Preside. Qualche cosa di torvo, mentre parlava, aveva rimuginato dentro di sé. L'arresto immediato di Giancarlo de Adamnis e di Giuseppe Lucenti, i quali, tolti alle famiglie nel cuore della notte, erano condotti in un lurido carcere, in attesa di provvedimenti più gravi.


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Umberto