Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Mentre a Teramo si tripudiava, a Poggio Umbricchio si combatteva e si moriva per una fede e con la speranza che da quel sacrificio si potesse trarre il fermento per le sante rivendicazioni.
     Ma quando non vi erano più munizioni, né macigni, né acqua, né viveri; ma vi erano morti da seppellire, feriti da curare, bambini da salvare si imponeva la resa. Titta però non voleva cadere nelle mani dei nemici. Conosceva una via, praticata soltanto dalle volpi e dai lupi, che lo poteva condurre in salvo. Ma l'addolorava il pensiero di dover lasciare nelle mani di quella soldataglia tante care persone.
     "Voi Titta vi potete allontanare tranquillo" gli disse padre Fulgenzio. "Io resterò qui a protezione dei deboli, con la forza che mi deriva dal mio abito. Il valore, d'altra parte, da tutti spiegato nell'impari lotta, dovrà imporre rispetto al nemico.

     E' pure da tener presente che con il nostro saio, con la potenza del nostro ordine, incutiamo timore alla Spagna cattolicissima, che ha molto bisogno di noi. Supereremo, con l'aiuto di Dio, anche questa prova. Ci rivedremo presto, in un cielo più sereno, dopo l'oscura tempesta."



     Sul far del giorno, mentre la banda, superando l'assedio, riuscì a raggiungere la sua meta, sul Poggio s'alzò la bandiera della resa. Quando gli iberici vi giunsero, da vittoriosi, non trovarono la preda maggiore. Inveirono brutalmente contro i rimasti, come il religioso.
     "Voi, frate", disse uno dei comandanti, "ci renderete conto di quanto con la vostra complicità è qui accaduto. Avreste fatto meglio a restare nel convento, per goderne le gioie nascoste. Avete voluto correre, invece, bizzarramente le avventure dei banditi e ne pagherete il fio."


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Umberto