Vivo appariva il contrasto, quando salirono sulla nave, tra le due razze. I veneti, alti e biondi, portavano nei tratti, nell'educazione, nel parlare la cortesia della città maga. Gli abruzzesi, bruni e abbronzati, conservavano vivo nel linguaggio, che nessuno capiva, e nei modi rudi, la scabrosità delle loro montagne. Nonostante ciò il sentimento d'una forte italianità li avvicinava, li rendeva fratelli.
Intanto il naviglio, in sul fare d'una notte, illuminata dalla luna che saliva nella sua pienezza dalle mobili acque del mare, lasciò Ancona. Santuccio rifiutò il posto lussuoso a lui assegnato. Nell'insistenza aveva detto:
"Mi dispiace, comandante, di dover contrastare la vostra cortesia. E' nostra legge: dove stanno i gregari sta il capo. Uniti sempre nei sacrifici e nei godimenti, nella lotta e nella morte. Il capo è tale solo nel comando. Non abbiamo da questa legge mai derogato. Nella forza di una tale principio non siamo stati mai sconfitti. Gli spagnuoli, che funestano la nostra terra, ne fecero, quando ci vollero combattere, il duro esperimento. Io credo che anche gli uscocchi, vostri nemici, ebbero a sentire cento anni or sono la forza della nostra coesione."
A mano a mano che Santuccio s'infervorava nel suo dire, l'anima del comandante si riempiva d'ammirazione e di meraviglia. Altro concetto aveva dei montanari aprutini.
"Voi, scusate", replicò il veneziano tanto per dire qualche cosa, "voi non eravate al servizio del vostro governo?"
"Mai. Noi eravamo al servizio della nostra montagna, scelta da noi, nella vita indipendente, come nostro regno. Ed ora veniamo, come mio nonno Marco Sciarra, al servizio della Serenissima."
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