Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Romanzo storico)


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     Dunque?



     Mentre Santuccio e i suoi navigavano, i loro parenti si raccoglievano nelle case, nelle strade, nelle piazze per i loro discorsi. Erano madri, spose, fidanzate che addolcivano l'affanno in tenere speranze.
     Quasi tutte le sere si riunivano in chiesa per invocare in loro favore l'aiuto del cielo. Andavano a combattere contro i negatori di Dio e Dio li avrebbe aiutati.



     CAPITOLO DECIMO

     Per la bonaccia le navi erano andate con pigra lentezza, ma erano pur giunte sull'alba nella vasta laguna. Ciò che sentissero quegli uomini che non avevano visto altro, nella vita, che montagne, valli e boschi, non è possibile descrivere. La città che con le sue meraviglie usciva dal mare, che tanto aveva colpito Giulio Montecchi, giuntovi qualche tempo prima, si presentava ai loro sensi, nella chiara mattinata, come qualche cosa di sovrumano. Tutto il brioso vocio che li aveva animati lungo il viaggio, cadeva come per incanto dinanzi alla città del sogno.

     Quando scesero dal naviglio, il sole, già alto, batteva come una carezza sulle croci, sulle guglie, sulle cupole d'oro dei tanti edifici e sulla meravigliosa piazza San Marco.
     Proprio in quella piazza ricevettero la visita del Doge, il quale ricordò con gratitudine i cinquecento combattenti di Marco Sciarra, caduti quasi tutte nella guerra di Candia e i pretuziani che condotti da Giulio Montecchi e da Titta Colranieri avevano riconfermato in Morea, per slancio e valore, la fama dei loro predecessori. Era sicuro che anche i soldati di Sante Lucidi non sarebbero stati da meno nei prossimi eventi.


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Umberto