Nella notte di san Francesco mossero verso l'obiettivo. Giunti ai piedi del colle, penetrarono a piccoli gruppi nelle pieghe del terreno, nei valloncelli, tra i cespugli e gli alberi. Penetrarono da ogni parte, con gli istinti delle volpi, col silenzio dei fantasmi. Nelle vicinanze del nemico si fermarono. Sul far del giorno, nella freschezza dell'alba, al suono dei corni, si lanciarono su i maomettani, immersi nel sonno. Breve la lotta, completa la vittoria.
I turchi più tardi, con nuove forze, tentarono di riprendere l'altura, ma inutilmente.
Altri vittoriosi combattimenti sostennero i pretuziani sulla via che conduceva i veneti ad Atene.
Tutte queste notizie riempirono di gioia e di orgoglio Santuccio e pensò che anche la sua banda, giunta l'ora, si sarebbe fatta onore.
A Campli, ove si viveva in ansiosa attesa, la notizia dell'arrivo, dopo qualche tempo, d'una lettera di Santuccio, aveva fatto accorrere nella casa di Barbara molta gente: madri, spose, fidanzate dei lontani.
La lettera, di cui prendevano visione, tra l'altro diceva:
Il nostro è stato un viaggio attraverso un territorio colmo di bellezze. A Loreto, nella Casa Santa, deposi l'armatura del passato. Venezia, avvolta e carezzata morbidamente dalle acque, ci cantava il canto malioso della sirena. Ne uscimmo con i sensi sconvolti, trascinati altrove, come legati alle galee su cui eravamo.
Siamo ora a Spalato, altra sirena, ma di minor pericolo. Spalato, città di Diocleziano, uno tra i più grandi imperatori romani, il quale, come ci dicono, si ritirò qui, volontariamente, per coltivare, nella pace domestica, terra e legumi.
|