"Le tue lettere, non appena giungono, fanno accorrere, ed è naturale, i parenti di coloro che con voi combattono e i buoni italiani che tanto si entusiasmano dei vostri trionfi. Molti vengono per notizie pure da Teramo e fanno i loro più o meno benevoli commenti.
Ma mandano per notizia anche i nostri ineffabili padroni spagnuoli, i quali, con la vostra partenza, non mettono più limiti alle loro prepotenze. Nessuno più ha il coraggio di elevare la sdegnosa protesta. Si limitano i migliori a rimpiangere il passato. Sempre così.
L'altro giorno Cinzia ricevette lettera dal suo Giulio, assai accorata.
Ne sono rimasta colpita. La sorte di Giulio è legata senza dubbio alla tua sorte.
E' vero che non tornerete più? Questo è un altro nostro tormento. La schiavitù non dovrebbe tanto spaventare quando vi sono grandi affetti ad alleviarla. Ma se non tornerete voi verremo noi, a guerra finita, in Dalmazia. E' sempre terra italiana.
Spesso per distrarci facciamo passeggiate. Molto mi attrae il colle, ove fui prigioniera dei banditi: tua prigioniera. Spesso vado a Boceto a inginocchiarmi dinanzi al quadro di Sant'Antonio, ai piedi del quale tu sei chinato in preghiera. Anch'io prego, per la tua salvezza. In chiesa, mentre il suono dell'organo si diffonde e il canto s'eleva, il mio animo viene a te colmo di tenerezza.
Se ne avessi la facoltà quante cose belle vorrei scrivere. La mia infanzia era stata circondata, nell'antica casa paterna, da amorevoli cure. Crebbi in istituto di suore. Fortificai la giovinezza in quello spirito forte che mi condusse a correre con le armi sugli spalti per difendere il luogo natio.
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