Umberto Adamoli
BERARDO DA PAGLIARA
(Dramma storico in quattro atti)


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     CONTE
     (sempre con vivacità)
     No, no. Le tradizioni, di cui le famiglie storiche sono gelose, non sopportano offese, di nessun genere. Vada Rainaldo monaco. A Berardo lo scettro dei conti di Pagliara.
     (S'ode un suono lento d'arpa, che giunge nella notte, da una stanza del castello. Il conte, commosso, scuote mestamente il capo)
     Anche questa benedetta figliuola turba i miei sonni. Rifiutare chi per bellezza, bontà, titoli superbi poteva renderla felice e rendere felice un padre! Anch'essa, e i segni sono evidenti, aspira al silenzio d'un qualche convento. La vita sua s'accorda con quella di Berardo: s'appartano, chiacchierano, rimangono la sera a rimirare il firmamento, pregano.
     Io sono credente, di fede ferma, ma non avrei voluto che la mania religiosa penetrasse così prepotentemente in questo castello, che già fu dimora di valorosi guerrieri, che ebbero pure a combattere per la Chiesa.

     Ecco il compenso che dopo tanti sacrifici, tante trepidazioni, tante speranze, si raccoglie dai figli.

     CONTESSA
     Ma che dici Roberto. Non vorrei che tu, nella tua agitazione, anche se giustificata, cadessi in eresia. Non è mania la luce con la quale la religione illumina e riscalda l'umano animo. I tempi mutano e i figli hanno pure propri diritti. La solitudine, il canto largo e divino dei boschi, hanno favorito l'ansia mistica di questi nostri figliuoli, ecco tutto. Poi, tra tanti smarrimenti, non è male che qualcuno, con una vita religiosamente austera, tenga accesa, come le antiche vestali, la fiamma delle alte idealità e della purezza.


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Umberto