Uno di questi figli, in questo tempo, il Gelasio, che si dimostrava, nella sua esuberante adolescenza, sempre pił vivacemente irrequieto, a cura, appunto, dello zio padre Emidio, era rinchiuso in un istituto di educazione dell'Aquila.
Nel letto del dolore, mentre fuori la natura ringiovaniva nella primavera, non poteva non risalire, melanconicamente, alle vicende della sua vita movimentata. Non poteva non risalire alla fanciullezza, quando, dopo la scuola, nella calda stagione, correva spensierato, con piccoli amici, di poggio in poggio, di boschetto in boschetto, nella vasta pittoresca Valsassina. Non poteva non risalire al tempo in cui, disceso con la famiglia a Bellano, si tuffava d'estate nelle acque di quel lago di Como, sogno sempre degli innamorati e dei posti. Nel crescere negli anni e nel vigore, acceso dai pił generosi fremiti, si rivedeva inscritto tra coloro, che, come Tommaso Grossi, tramavano coraggiosamente contro i tiranni, oppressori della patria. E ricordava la notte angosciosa, nella quale, giovane ormai, riusciva, come per miracolo, con altri, a sottrarsi al cerchio, che i Croati stavano stringendo attorno ad essi, in solenne riunione, per allargare i limiti della congiura; notte in cui, per evitare la cattura, doveva prendere la via del duro esilio. Ricordava, con viva tenerezza, l'addio, nella notte fredda, serena e vivida di stelle, alla cara madre, al buon padre, alla famiglia tutta; l'addio mesto ai suoi monti, alle sue valli, al bel lago, con il vago nero presentimento che non vi sarebbe pił tornato. Le peripezie del lungo viaggio attraverso la Lombardia, l'Emilia, la Toscana e le Marche, l'arrivo nella terra, dalla quale si sentiva fatalmente attratto, rivivevano, con tutti i particolari, nel suo animo, acceso dalla febbre. E vivi gli sfilavano, nella mente turbata, gli episodi, gli eventi svoltisi nella nuova terra. |