Nell'anno seguente, 1860, particolarmente colpito dall'entusiasmo patriottico, che scuoteva l'Italia insorta vittoriosamente, tentava, con altri ragazzi, una fuga, per raggiungere Garibaldi, già in gloriosa marcia, per la conquista del regno borbonico. Il sangue non mentiva. Nelle vicinanze di Napoli, però, per la giovane età, era fermato e ricondotto a casa.
L'esperimento, dovendosi ritenere ormai concluso, ed in modo sfavorevole, consigliava quella madre a modificare, anche se a malincuore, i suoi progetti. Rinunciava, di conseguenza, alla gestione della fonderia a favore degli Spinozzi, che l'avevano, con insistenza, richiesta. Conservava solo per sé, nella contrada della Cona, nei pressi della città, ove si trasferiva, il laboratorio di rameria ed il magazzino di vendita.
Nuova vita, quindi, che se era ancora avvolta di mestizia e di pianto, pur faceva trapelare, tra le nubi nere, una qualche luce di speranza, per il prossimo avvenire.
Quale poteva essere questo avvenire? La sfinge, nel suo mistero, non rispondeva. La buona mamma s'abbandonava, talvolta, con spirito profetico, alle previsioni dell'avvenire. Ma vedeva che doveva fare molto cammino, sulla strada dolorosa, prima d'incontrare sprazzi di sereno.
Intanto la patria, a favore della quale gli Adamoli e gli Strina avevano dato il loro entusiastico contributo, concludeva la prima più importante parte del suo programma nazionale su i colli insanguinati di Solferino e san Martino, gloriosamente.
Con i cinquecento, che, con Garibaldi, conquistavano all'Italia il regno delle due Sicilie, vi erano stati della famiglia ben due Adamoli, studenti universitari: Giulio e Carlo. Vi sarebbe stato anche Gelasio, se maggiore fosse stata la sua età.
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