NELLA VALLATA DEL PICENTINO
Si giungeva, così, senza notevoli mutamenti, al 1865, quando Gelasio, giovane ormai di venti anni, tendente alle avventure, s'arruolava nelle milizie, che operavano contro il brigantaggio, infestanti il meridionale.
Di contrada in contrada, come dal destino sospinto, arrivava su le montagne, fitte di boscaglie, del salernitano. A Giffoni Vallepiana, nella vallata del Picentino, ove era una specie di presidio militare, si incontrava con un altro lombardo, cugino del padre, Antonio Adamoli, che vi esercitava una complessa ricca industria. Dopo la festa dell'inaspettato incontro e dopo i racconti, lo invitava a congedarsi e a rimanere con lui, offrendo fraterne condizioni.
Il nostro Gelasio accettava si per porre fine alla movimentata vita, sia per la bellezza della contrada, ricca di acque, di verde, di aranci.
Nella Pasqua del 1868, che cadeva d'aprile, mese sempre caro ai poeti e agli innamorati, aveva un incontro gentile. Nella chiesa di San Lorenzo, ove si era recato per ascoltarvi la messa della resurrezione, lo colpiva la vista d'una giovane alta, snella, dagli occhi e dai capelli nerissimi, raccolta nella sua preghiera aristocraticamente bella. Ve la rivedeva nelle domeniche successive, sempre più bella nella sua serietà ed elegante semplicità.
Anche lui non era sfuggito a quella giovane, che, nei suoi diciassette anni, schiudeva allora il suo animo, come un fiore di maggio, ai palpiti, ai sogni della vita.
La dea benefica, alla quale, nonostante la gioiosa spensieratezza, aveva pure pensato, era comparsa luminosa, sulla sua via, ma accompagnata da molte difficoltà. Apparteneva essa a quella famiglia Marotta, che discendente, con superbi titoli da forti feudatari, viveva, anche se decaduta, nel tradizionale orgoglio. Pareva che non si potesse ad essa avvicinare chi non avesse una storia, non possedesse un feudo ed un blasone.
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