OPERAIO - (di spirito indipendente) Abbiamo capito che gli uni, nelle chiacchiere e nelle promesse, valgono gli altri.
ALTRO OPERAIO - E' vero anche questo.
PRIMO OPERAIO - Allora io vi - consiglierei, amici, di fare un po' a modo nostro, di pensare un po' con la nostra testa. Non siamo pecore a tal punto da non capire quale è giusto, nella vita, e quale non è giusto. Ci dobbiamo riscattare dai demagoghi, qualunque essi siano.
(A questo punto la sirena, che suona, richiama gli operai al lavoro. Andrea se ne va).
MARIO - (mentre gli operai s'allontanano) Il lavoro! Ecco il primo impedimento alla nostra marcia. Mario - vinceremo, vinceremo.
(S'allontana dalla parte opposta anche lui. Rimangono due operai: Filippo e Tommaso).
FILIPPO - Hai inteso?
TOMMASO - Non solo ho inteso ma ho anche capito le ragioni di quel rammarico.
FILIPPO - Sarebbero?
TOMMASO - Fin che gli operai lavorano in libertà ed hanno pane non pensano certo a fare quella rivoluzione, con la quale i cari compagni sperano di conquistare alti seggi.
FILIPPO - E' vero anche questo. Mario - è anche vero che molte stranezze vi sono nel povero vivere: lamenti in basso; lamenti in alto, e nessuno è mai soddisfatto del proprio stato.
TOMMASO - Ed appunto per ciò, caro Filippo, il mondo è chiamato "gabbia di matti". E dovunque si fanno chiacchiere, si protesta, si litiga.
FILIPPO - Ed anche a Roma, nei due rami del Parlamento, in questo nostro tempo nuovo, si fanno baruffe, come nelle peggiori taverne.
TOMMASO - Debbono dar pur segno di vita. Diavolo!
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