Dopo i primi voti, che già lo trasfiguravano celestialmente da Morrovalle, era mandato a Pievetorina, per completarvi, nelle diverse discipline, la cultura, poiché, secondo quanto egli stesso affermava: «Non si può lavorare nella vigna del Signore, senza avere conquistato un buon corredo di santità e di dottrina». E studiava, studiava non soltanto per sapere, ma anche per rendersi idoneo a insegnare agli altri la sicura via della salvezza.
Ma i digiuni, le penitenze, le notturne veglie, il fervore nelle preghiere, lo studio non potevano non logorarne la salute. Non si può, col tempo, non rimanere consumato dal fuoco che arde, nell'anima, con troppa vivida fiamma. E Francesco Possenti, uscito vittorioso dalla lotta con le maligne forze delle tenebre, correva davvero, fresco ancora di anni, verso la vita luminosa dell'eterno godimento.
In seguito i Superiori, per allontanarlo dai rumori e dai pericoli di gravi eventi politici, e per la sua scossa salute, ritennero di trasferirlo, da Pievetorina, al solitario convento dell'Isola del Gran Sasso.
Quando vi giunse, con il nome di Gabriele dell'Addolorata, il 10 luglio del 1859, in una splendida giornata di sole, sentì e se ne commosse, che in quel piccolo mistico mondo, adatto al suo spirito assetato di poesia, cantavano, in una divina armonia, e monti, e valli, e alberi, e acque. E in quella pace, nelle sere tenere di ombre, in un soave rapimento, saliva, con lo spirito, a godere, a cantare, la grandezza del Creatore, lo splendore della divina Madre.
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